Bottoni dispari

Il colore si riconosce. Non c’è modo di nasconderlo. Sulla sua pelle il rosso dell’eccitazione, del sangue che pulsa.
Dico qualcosa con in bocca una sigaretta finta, un po’ come stampella per gestualità interessanti, un po’ per parodia. Lei ride. Madonna quanto è sensuale quando ride. Siamo sotto le coperte, siamo nel mezzo di un discorso: mi fermo e la bacio. Tutto il resto non aveva significato. Sento la sua pelle caldissima fremere sotto le dita. Ci scompigliamo i capelli, la paura regna sovrana. Le mie mani tremano mentre armeggiano cercando i gancetti del reggiseno. Ah, non lo porta nemmeno, che sollievo. Giù i pantaloni, giù i gambali di lana, giù le calze e i calzini. Fino a raggiungere il momento fatidico nel quale le mie dita incontrano la prova definitiva dell’esistenza delle caviglie. Sono lì apposta, impediscono imperterrite lo sfilarsi di un fagotto informe di calze, calzini e pantaloni accumulati ai suoi piedi.
Le caviglie sono sottovalutate. Un po’ come i lacci e bottoni: se da bambino hai portato solo scarpe con lo strap, allacciarsi le scarpe è un problema soltanto rimandato, e reso una sfida dall’improvviso insorgere dell’idiozia prepuberale. Cose che non mi hanno insegnato da bambino e che non imparerò mai a fare nell’ordine giusto. Come la camicia: abbottonandomi alla fine trovo un bottone libero qui e un buco lì. Veloce correzione con un colpo di forbici, e sono pronto per il colloquio di lavoro. Ancora oggi mi capita di partire in quarta (in ritardo) a spogliarmi per andare in doccia e trovarmi a camminare come un pinguino coi calzoni alle caviglie. Così mi procurai una cicatrice come quella di Harry Potter, proprio una settimana prima che i miei genitori facessero smussare tutti gli spigoli e bordi taglienti della casa. Ah, le coincidenze della vita. Se mi pedinaste al centro commerciale (a cercare camicie con bottoni già dispari) vi domandereste: “come cammina quello!?” Ecco, ho fatto i primi passi in un box completamente rivestito in gomma piuma extra morbida. I secondi su un tappeto elastico alto 30 centimetri. Sceso sulla terraferma avevo la sindrome di Jordan, l’astronauta in orbita per tre missioni consecutive. Classificai la gravità come imprevedibile, e così rimase. Alla scuola materna mi sono quasi impiccato coi lacci delle scarpine. L’anno dopo iniziai scuola che impazzava la moda delle Bull Boys con gli strap. Per fortuna era già iniziata l’era delle forbici dalle punte arrotondate.
Sto per entrare. La tensione è tanta, lei la chiama ansia di prestazione, io la chiamo paura boia. Sì, lei è lì. Sempre dritto, con calma. Espira. È importante mantenere la calma, la prima volta. Un attimo più in su, o forse più in giù. Ma come cazzo si… per fortuna c’è la sua mano a facilitare quel momento d’imbarazzo. Mi chiedo come sia stato per quelli che hanno perso la verginità insieme.
Corro come un pazzo alla luce del sole. Sento che nella pancia ho un seme piantato. Di leggerezza; meraviglioso sfrecciare come di bici rubata. All’alba ho fatto l’amore per la prima volta, e dopo un sonnellino anche per la seconda e terza volta. “Esco”, le ho detto, ed è stato un momento di dolcezza e mille baci. Vado al bagno per pisciare. Sento quell’odore sulle mani. Ma in realtà è un po’ dappertutto. È entrato dalla sua clitoride nelle mie narici, è sceso alla carotide e poi è risalito su su fino al cervelletto. Ce l’ho nella testa, non mi lascia più. È il mio nuovo odore. E poi c’è un altro aroma laterale, più compatto, intrigante: il suo sudore tra le chiappe porta un odore di buco di culo, che non sa di merda, è diverso. Davvero non puzza, non è autosuggestione.
Penso a quella sua maglia così gialla e coccolosa e mi rendo conto di aver dimenticato il suo nome. E ora? Come diavolo glielo chiedo “come ti chiami”?
Un giorno poi glielo chiesi: “ma ce l’hai ancora la maglia gialla di quando l’abbiamo fatto la prima volta? – Non ho maglie gialle”, obiettò lei. “Ma come no, magari era più verso il panna. O forse beige? – Non mi pare sai”, risponde sicura “sono colori che proprio non porto”. Il colore potrà anche essere autosuggestione, l’odore no.

(di Giovanni Di Lauro)