Cinotecnica di un dolore

E comunque è stato Natale. Ancora e nonostante la tua assenza. C’era stata persino l’estate e sta per tornare. La primavera non la conto, però l’autunno sì, perché porta con strafottenza il segno del tuo compleanno, l’ultima tua scia. C’è poi la mia insistenza a oltranza. La chiamo inappetenza. Talvolta noncuranza. Mancanza di sostanza ad andar via. La mia. Ad ottobre è morto un certo Franchino manager dei vip di cui non sapevo niente. È un’ignoranza che devasta, quella sua vita di Franchino, perché passa da Vicolo Corto, mi spinge sulla casella delle probabilità e si scrocia con te a Parco della Vittoria, a un passo dal via. Vi sfiorate tu e Franchino, mentre io resto muta davanti alle vostre vite in scorrimento, alle manifestazioni d’affetto che colorano il ricordo di Franchino mentre tu mi diventi fluorescente tra le mani. L’avrai incontrato un altro cane da adottare? Funziona cambiare lenzuola per dimenticarmi-ti-ci-vi? Aida sta bene, tanto per fartelo sapere. Abbaia allo sforzo violento di spingerti lontano dal petto. Di notte passeggia per casa e comunque sta compiendo degli esperimenti su questo fatto molto alla moda ultimamente dei ritmi circadiani della vita. Quanto a me faccio sogni stancanti: come sempre, mi dirai. Ho tagliato tre volte i capelli, ne ho cambiato due volte il colore. Mi inquieta quello che l’Aquinate scrive sui denti e sui capelli nel Summa contra Gentiles circa l’ipotesi che abbiano una memoria. Perciò fino a quando non sarò di nuovo felice gli impedirò di crescere. Di denti al momento ne ho tolti tre (compreso l’odontoma – discutevo con te nell’altra vita sui rischi che correvo ad eliminare il benigno dall’arcata superiore), me ne restano da estrarre ancora due. C’è sovraffollamento nella mia bocca e tra i pensieri. Possa la terra essergli lieve a tutti questi miei denti abortiti, a tutti questi miei capelli spezzati. La psicologa dice che se arrivo in ritardo alla seduta non è colpa del traffico ma della mia resistenza all’abbandono. Fa buio presto in tangenziale, il riflesso degli abbaglianti altrui sul cruscotto dell’auto propone il fantasma di noi.

Lungo Viale del Muro Torto Aida riconosce l’odore di Villa Borghese e per accontentarla faccio una sosta al parco. Le si affaccia un ricordo dal naso, scava buche nel terreno, sicura di poter ritrovare ciò che è andato perduto sotto le foglie nuove, archeologia di sentimenti. Nel quadrivio della fontana dei cavalli marini s’è fatta sera, la proiezione è iniziata e noi a luci spente cerchiamo posto in sala. Ci passi davanti ventiquatrenne con in mano un paio di orecchini per me. Lei prova ad inseguirti per chiederti di restare, ma tu nemmeno la accarezzi. Un clochard mi regala salviettine umide per pulirle le zampe. Cercheremo la strada di casa senza l’aiuto di una stella cometa.