Tra Le Pagine

Tra le varie cattive abitudini di L., ce n’era una più irritante delle altre: quando si sedeva a tavola, che fosse a casa propria, di amici o in luogo pubblico, si toglieva le scarpe. Le toglieva sempre allo stesso modo: sfilava la sinistra con l’aiuto dell’altro piede, rivelando calzini inappropriati, in genere spaiati o per lo meno bucati, e poi cominciava giochicchiare con le dita dei piedi, tamburellando sul suolo.
L. non era certo una ragazzina, aveva sulle spalle il peso dei 50 anni, ma sembravano di più, forse perché tutto in lei tutto parlava della madre: il modo nel quale acconciava i capelli, lisci e raccolti, il modo nel quale si truccava, modesto e discreto, il modo nel quale si vestiva, con le lunghe gonne informi da sotto il ginocchio e le bluse di seconda mano.
Il totale disinteresse nei confronti dei calzini era suo, solo suo.
Non si può parlare di ossessione, quella di L. nei confronti della madre non era tale, era più che altro pigrizia, era più facile. Non era mai stata, nemmeno da ragazza, il tipo di persona da voler scegliere: il peso delle decisioni le ingobbiva la schiena, le ingrigiva l’umore, la schiacciava riducendole il corpo ad una massa informe di malattie psicosomatiche fittizie, più qualcosina di stagionale di quando in quando; così un giorno -non che lo abbia scelto-, si è lasciata scivolare nel suo personale inferno dantesco fatto di non-scelte.
Il caso le scagliava quindi addosso quel che aveva: per caso aveva scelto l’università, seguendo l’amica del cuore passivamente, senza domande, per caso aveva trovato marito e perfino quando le cose avevano iniziato ad andare male aveva lasciato che la loro relazione continuasse a trascinarsi, e così per qualsiasi altro momento della sua vita: il caso, il caso, il caso.

Il suo lavoro consisteva nel guardare le persone partire: sbrigava la burocrazia per una compagnia aerea economica. Era la persona nascosta dietro il bancone che ti dice che c’è un problema con il tuo biglietto e che devi pagare di più, era quindi quella con la quale ti incazzi ma poi il senso di colpa ti fa sentire un verme. L’odore d’indecisione superava barriere linguistiche, limiti fisici ed impedimenti emotivi.

Dopo uno svenimento avvenuto sul posto di lavoro si era risvegliata in ospedale 24 ore dopo. Le mancava il fiato, i suoi polmoni sembravano essersi ridotti a quelli di uno scricciolo, ogni respiro esalato sembrava un piccolo battito d’ali, mentre la sua cassa toracica sembrava essere gravata dal peso di massi invisibili.

Sulla fredda superficie bianca del comodino accanto a lei una violaciocca aveva perso un petalo purpureo. Quando fece per allungare la mano per raggiungerlo non successe niente. Il suo corpo l’aveva abbandonata, letteralmente, rinchiuso in una protesta silenziosa, lasciandole a malapena la possibilità di piangere. Le sembrava di poter sentire un rumore acuto provenire da dentro la sua testa, un suono aspro che le rimbalzava da una parte all’altra del cranio.
Voltando lo sguardo verso la vetrata piena di aloni alla sua destra, notò i suoi vestiti, piegati in maniera distratta probabilmente dal marito. Un flebile fascio di luce illuminava i suoi calzini poggiati su una sedia verdognola: un brivido molle le attraversò il corpo, l’unica cosa che parlasse di lei erano quei calzini usurati, pescati alla cieca ed indossati in maniera distratta.

Tutte le non-scelte per anni erano state riposte in una scatola del suo cervello con un’etichetta scolorita. 
Quella scatola aveva cominciato a crescere, crescere come fa un’infezione, propagandosi fino ad intaccarne le parti vitali. Quell’area che provava a dare scosse al suo corpo facendola muovere passo dopo passo aveva cessato di funzionare, corrotta e sfinita da un disgusto celato nella più oscura parte del suo inconscio.
Lei aveva smesso di esistere.
Voleva urlare, ma non poteva.
Voleva piangere, ma sentiva le lacrime cristallizzarsi fredde dentro di lei.
Aveva sempre vissuto come un parassita, trascinata dagli altri, così ancora una volta qualcun altro aveva deciso per lei: il suo corpo aveva deciso per lei, relegandola ad un eco silenzioso in se stessa, intrappolata come un fiore tra le pagine del libro di qualcun altro.