Appena gli occhi di Giovanni giunsero alla fine dello scritto, la lettera diventò immediatamente un cartoccio infuocato tra i tizzoni ardenti del camino. Si alzò con fare frenetico dalla scrivania, le gocce di sudore cominciarono a rigargli la fronte, fece cadere la sedia, scaraventò al suolo tutto ciò che restava sopra il suo scrittoio. Aveva lasciato casa per quello, per non avere più pressioni, per rompere con la sua vita fatta di abitudini e di doveri; aveva lasciato la madre, il padre, i fratelli, la sua terra, la sua casa, la sua aria, il suo fuoco. Dentro di lui però restava sempre la fiamma per la giovane Angiolina. Ora Angiolina non c’era più.
Giovanni fu preso da quella profonda disperazione, unita ad una strana malinconia. Voleva tornarsene a casa subito, poter baciare per l’ultima volta le labbra fredde della sua amata, stringere le sue fini dita ancora una volta, e portarsele al volto come per una carezza.
La rabbia poi si impossessò di lui.
Prese il pastrano e con una mossa agile se lo mise sopra alle spalle, poi scendendo la scala indossò il cappello e prese frettolosamente la strada per il paese. Il suo sangue ribolliva nelle vene, il fuoco era nei suoi occhi, lividi, colmi di lacrime. Trascinava la mano sui muri di pietra delle case, lungo i viottoli e attraverso le piazzette. Scese per la strada principale, poi prese la prima via a destra passando sotto un vecchio fico. Proprio in quella casa che costeggia la stradina, in estate, un anziano canuto secca i frutti di quell’albero invadendo il vicinato di una fragranza dolciastra.
In paese si celebrava il santo patrono.
Esili fiammelle ondeggiavano in mano ai fedeli in fila ordinata. La fila venne rotta dalla frenetica discesa di Giovanni.
Era preso dalla disperazione. Si mosse tra la folla, disorientato. Mancava poco.
D’un tratto il cielo si incendiò. Fuoco e fiamme accesero, con coreografie caleidoscopiche, il cielo sopra l’isola. Le stesse luci, gli stessi colori si riflettevano sulle pupille umide di Giovanni, che guardava questo spettacolo che illuminava anche il mare nero, macabro. Giovanni raggiunse l’abbazia; questa si erge sopra una piccola scogliera, all’estremità del paese. Da lì si gode di una vista unica sulle case bianche di calce, sulla montagna arida, sul mare agitato dalla bora e sulla vicina Hvar.
Aprì il portone della chiesa, buia, illuminata solamente da fiamme tremanti di alcune candele.
Recitò la sua ultima preghiera, inginocchiato di fronte al piccolo altare, al di sotto di un Cristo sofferente come lui.
Chiuse il portone alle sue spalle.
“Regina caeco carpitur igni”.
Le ultime parole.
L’isola era ricca di pietre. Fredde pietre di tutte le forme e le misure. Bianche, scure, spigolose e tonde fino ad una fine ghiaia. Giovanni in lacrime prese una di queste grosse pietre e si sporse dalla balaustra.
Con un sasso in grembo si gettò in mare.
Non lasciò nessun messaggio in casa.
Solo il camino continuava ad ardere.