Diario di bordo

Lunedì.
Qui a L.A. è proprio come nei film. Le strade, tutte perpendicolari, formano blocchi di quadratini indistinguibili l’uno dall’altro: sono i quartieri di South Valley, villette stile Simpson spalmate su un quadrato di lato 10 km. I miei ospiti sono una famiglia modello, mettono a letto i bimbi con un bacio sulla fronte. Qui tutto mi ricorda della vita che non ho avuto e dell’infanzia che desideravo. Hanno una piscina in giardino. Abbiamo fatto delle foto di nudo sott’acqua e le abbiamo spedite a Fran.

Martedi.
Sono le otto, dodici ore sul set e non è ancora finita. Un’attrice non si è presentata e ho dovuto recitare! È stato terribile. La truccatrice mi ha conciato come una barbie e mi dava picchiettate di polvere bianca ogni volta che mi passava accanto. C’era tanta gente aperta e carina che mi rivolgeva la parola saltellando qua e la. Una ragazza, del tipo mtv sweet sixteen, mi accarezza, “you’re fine, aren’t you?” . E se ne va senza attendere risposta. Poi giriamo. Al 36esimo ciak non avevo ancora capito una parola delle indicazioni del regista. Ero spaventata e frustrata, nella mia scena siedo al computer e mi rallegro per il google lunar xprize: la prima squadra ad allunare vincerà 20 milioni di dollari, 10 per chi scatterà foto dell’apollo 11 o sopravviverà a una notte lunare.

Mercoledì.
Oggi erano tutti tristissimi. Jannifer affondava il cucchiaino nel dessert e già gli occhi le si appannavano di lacrime. Voleva fare la dura, “io non piango”. Al primo boccone freme, il manico vibra. Takk. Si è rotta uno spigolo di incisivo per il tanto digrignare. “Lo zio te lo aggiusta gratis, prendi appuntamento da sola?”. Mamma Kathrin è una praticona. Mi ha chiamato in disparte e mi ha raccontato che ieri notte nonna si è sentita male. All’ospedale le hanno trovato diverse emorragie interne, i dottori parlavano di cancro e le hanno dato 4 giorni di vita. Si pianifica il funerale per domenica.

Giovedì.
Stanotte la nonna è morta. Piangono tutti, tutto il tempo. Domani prendono l’aereo e mi lasciano qui fino a lunedì.

Venerdì.
Oggi il vicino mi hanno invitato a cena fuori per il compleanno di Charlie. Sul sedile davanti c’é un un cane dalle zampe lunghissime, con giubbettino e smalto. “È un sighthund italiano da 8000 dollari”, mi spiega. Lui e la ex moglie erano così legati a quella bestia! Quando è morto la moglie è finita in terapia e si sono separati. Lui ne ha comprato un altro. Andiamo a un ristorante per cani dove ogni cosa, cibo sedie tavoli e piatti, è pensato per far sedere il migliore amico dell’uomo a fianco del padrone. Philipp mi chiede di dormire nel suo lettone con Charlie, solo per sabato notte. Lui è fuori per lavoro, e il cane da solo non riesce ad addormentarsi. Qui non è come da noi, senza una macchina non si va da nessuna parte. Non so proprio cosa inventarmi per domani sera.

Sabato.
Oggi pomeriggio la noia mi stava uccidendo, così ho preso il bus che in 76 minuti raggiunge Hollywood. Cammino fino alla fermata, gli uomini suonano il clacson al mio culo, e al ritmo dei tacchi sull’asfalto mi risuonavano in mente le voci di chi mi dava della matta, che la linea 108 passa per il quartiere peggiore, che il trasporto pubblico lo usano i barboni e i criminali. Ora è buio pesto, non so dove sono. Il bus è spento e silenzioso, l’autista non c’è. Mi sono addormentata. Dalla porta entra un alito di freddo penetrante. Luci flebili da un quartiere più in la. Sono sola davanti a una notte senza luna. Penso alla pubblicità del google lunar xprize, ai marinai spaziali delle 32 ciurme lanciate in una gara di allunaggio sportivo, alle loro trappole in carbonio-alluminio. L’ammasso di ferraglia che mi circonda è al confronto di un vuoto rassicurante. La notte terrestre non è poi così buia.

(di Giovanni Di Lauro)