Dueddue

Potevi prenderlo più grande, l’armadio, più spazioso. Potevi costruire una cabina, una stanzina a parte per i vestimenti che adesso mi sfiorano le anche e mi graffiano il muso intristito. C’è odore di naftalina qui dentro e da quand’è che sono ancora in voga le pellicce, da quand’è che ti vesti di morte ed odori di muffa?
Bastavano due centimetri, dueddue, sui lati e sul retro dell’armadio. Dalla trama del tessuto scommetto di avere sulla destra quel maglione lungo con le coste, infeltrito, vecchio di quando il vecchio era un tabù. Non ti sento bene, le parole mi giungono ovattate e di tanto in tanto un termine mi taglia un orecchio, mi affetta lo stomaco, mi smuove tutto che te lo griderei di stare zitta e muta e non parlare a quello lì, che vuole solo quella cosa e cosa vuole, cosa vuole, deve smetterla, tacere. Non lo sopporto più questo molleggiare del materasso e delle doghe sopra il viso, sopra la mia faccia, non mi pare il caso. Potevi prenderlo più alto il letto, un materasso ad acqua, potevi non prenderlo affatto e non andarci più, sul letto, non andarci. I ciuffi della polvere mi rotolano attorno, sotto il naso, me la stai facendo sotto il naso. Mi verrebbe da afferrarti una caviglia mentre, iena, ti appropinqui al tuo giaciglio, stringere coi polpastrelli i due malleoli e spremerli.
Se solo fosse meno buio, meno pesto, meno cieco, allora sì potrei afferrarti, raschiarti la pelle fino alle ossa, uscire dall’armadio, dallo spazio tra le doghe e il pavimento, da sotto il tuo letto a sopra il tuo letto, balzarti nei bulbi oculari e mangiarli, mangiarti. Dietro la tenda potevi mettermici almeno una sedia, anche di quelle pieghevoli, scomode, uno sgabello. Una sedia di vimini che lasciasse le strisce di rosso sul culo, una sedia qualunque, un pensiero per me. Potevi mettermici una sedia, ché lo sai bene di quanto mi scocci lo stare all’impiedi e le finestre, le finestre potevi insonorizzarle. Sento il rumore del traffico giù, l’aspirante suicida del palazzo di fronte, i grilli per la testa, le vecchie che attraversano e le schiene che scricchiolano, la tua voce che non ha più corpo. Se solo i mostri non fossero orbi ed al contempo invisibili, come me. Se fosse solo meno buio, meno pesto. Se solo fosse meno cieco il futuro, cieco che tu non riesci a vedermi, a guardarmi, nascosto negli angoli, immobile negli interstizi, in alveoli in ginocchio a pregare di averti.