Forse dovremmo comprare un condizionatore

Risuonava, nella sua mente, quella richiesta fatta dalla moglie, mentre si recava a lavoro: «Sai caro, forse dovremmo comprare un condizionatore». Anche quel giorno il termometro segnava 50 gradi. Le ombre dei grattacieli si fondevano sull’asfalto bollente. Già, pensava, il sesto condizionatore, in effetti, avrebbe portato un po’ di fresco nella loro calda casa. Il bus era in ritardo. Il traffico non scorreva per niente. Con quel sole battente, nessuno si azzardava ad usare mezzi alternativi alle auto. Il suo grosso cappello non riusciva per nulla a proteggerlo da quei nefasti raggi solari. Decise allora di avviarsi a piedi, verso la metro. Lungo il marciapiede, respirava un po’ di refrigerio uscente dai negozi, i quali sembravano celle frigorifere per la conservazione di corpi morti. Declinò l’idea di fermarsi in uno di essi per rifiatare. Era in ritardo e il suo vestito zuppo di sudore. Era l’unico a piedi, per la strada. Si chiese come fosse possibile lavorare in quelle condizioni. Era insostenibile, quel calore. Eppure sapeva bene che la produzione non poteva fermarsi. Scese nella metropolitana, nelle viscere della terra, dove il calore assumeva proporzioni brucianti. In pochi minuti arrivò a destinazione, fermata Vulcano. Salì sulla cresta del cratere. Il suo capo subito l’accolse felice. Gli indicò i grafici. C’era molta attività, quel giorno. Sbuffi di calore si sollevavano altissimi nel cielo. Avrebbe voluto mettersi la tuta ignifuga, almeno per alleggerirsi un po’ da quel fuoco. Ma il suo superiore pareva non avere occhi, se non per quei bei segnali di fumo. La lava usciva copiosa e il vapore spingeva le turbine al massimo della velocità. Laggiù, lontano dalla città, i boschi bruciavano. Nessuno avrebbe consumato acqua per spegnerli. Quando finalmente qualcuno distrasse il capo, poté cambiarsi per lavorare. Non ebbe pause, se non per fumare qualche sigaretta, fino alle sette. I suoi colleghi recuperarono le automobili, mentre lui ridiscese nella bollente metro. Sottoterra non si respirava, se non per le grosse ventole dell’areazione. A casa, ascoltando il giornale, tirò un sospiro di sollievo, sentendo che nessuno era morto a causa di quel caldo anomalo degli ultimi tre anni. La centrale geotermica aveva lavorato a pieno regime. Non ci fu nessun black-out o calo di energia. Fossero tutte così le giornate, pensò. Poi guardò la moglie, affaticata a caricare la lavastoviglie. Accese così, col telecomando, tutti e cinque i macchinari. «Sai», le disse, «forse dovremmo prendere un altro condizionatore». Anche se le sue parole furono in parte mangiate dal rumore. Lei sorrise. «Ti stiro il piumone per stasera». Urlò. Poi corse a fare la lavatrice, non prima di dare un’ultima passata veloce con l’aspirapolvere, mentre le luci della città si accendevano per illuminare, a giorno, la notte.