Il suicidio del samurai

Il vento gonfia il mare, il cielo basso soffia tempesta. Le onde si gettano con forza contro la scogliera.
In piedi a un passo dal dirupo, il samurai non guarda l’orizzonte, non presta orecchio al frastuono violento della natura. Fissa soltanto la sua katana, libera infine dalla prigione del fodero. Teme e pregusta il momento in cui compirà il gesto: unirsi al suo più grande nemico è l’ultima cosa da fare.
Cacciato dai paesi della costa, disprezzato e deriso dagli abitanti, incapaci di riconoscere la sua volontà di servizio.
Seri pericoli li attendono. Attendono tutti.
Ha voluto avvertirli, e offrire loro il proprio aiuto. Ha trovato solamente rabbia e sciocche ironie. Le sue parole non sono state ascoltate.
Se ha alzato la katana su di loro è stato per ripagare le ferite che loro stessi gli avevano inflitto. Non gli era sembrato, in quel momento, che fosse un prezzo ingiusto da pagare.
Invece, la notizia di quanto era successo aveva viaggiato veloce, e anche le voci fino ad allora in suo favore lo avevano abbandonato.
Paesi amici, luoghi che per anni aveva difeso e che per anni lo avevano accolto. Quei paesi ora lo ripudiavano, lo chiamavano traditore. Quei paesi che erano stati la sua casa si rifiutavano adesso di accoglierlo, non accettavano il suo servizio. Rinunciavano, contro di lui, alla loro stessa sicurezza.
Senza un posto in cui andare, il samurai è solo alla fine del sentiero. La morte è l’ultima casa pronta ad accoglierlo.
Guarda l’orizzonte, ora. Il mare in tempesta si agita sinuoso tracciando curve pennellate. Le montagne sono forme solide che filtrano tra nuvole e vapore.
Distingue la fine. L’ultimo sguardo è per quel mondo agitato.
Dalla scogliera cade leggero. Per un istante sembra quasi fermo, sospeso a mezz’aria. Poi le onde lo prendono.
Ormai perduto, in quella natura scomposta, scompare.

(di Matteo Benni)