LE POCO AMICHEVOLI GIORNATE DI MESSER GELINDO DI VENOSA

Questa è la storia di Messer Gelindo conte di Venosa, il quale viveva dominando come feudatario su un piccolo villaggio del sud. Narrasi che Messer Gelindo amasse incontrarsi con gli altri nobili della zona, con cui aveva un fedele rapporto d’amicizia.

Tra i loro passatempi preferiti iI nobili passavano le loro giornate tra i loro passatempi preferiti: la caccia, le riunioni religiose e le feste nei castelli, in cui si divertivano a prendere in giro il populino, che non poteva godere delle loro stesse fortune. Talvolta si divertivano anche girando a cavallo tra i rozzi contadinotti, sfottendoli per la loro povertà.

“Guardate quello: che occhio sbilenco!” disse Messer Raimondo a Messer Gelindo; “guardate quest’altro invece, zoppica come una gallina!”, disse invece Messer Guglielmo. E poi Gelindo “ho vinto io, amici: guardate quella vecchia, da come cammina con le gambe chiuse sembra appena uscita da un bordello!”, e giù risate. Era un loro divertimento accanirsi contro le sfortune dei non aristocratici, e scommettevano un obolo d’oro ogni giorno su chi riusciva a trovare il più disgraziato.

Ora, le giornate dei nobili si susseguivano così, ma era durante le loro feste che davano sfogo al loro miglior divertimento: criticare gli ammalati di peste. “Chissà dove sono andati a beccarsi la peste” diceva uno, “è la punizione del Signore per i loro peccati” diceva un altro, “è la punizione per le loro brutte facce!” replicava infine Messer Gelindo scatenando le risate dei compagni.

Tra tutti i nobili del sud non ce n’era uno che eguagliasse il conte di Venosa in crudeltà: un giorno, passando per una contrada del suo villaggio, trovò un vecchio sdraiato nel fango dopo una caduta, a cui  e gli offrì il suo aiuto; ma il disgraziato, dopo aver ricevuto una mano dal nobile, ricevette una spinta che lo fece cadere nuovamente nel fango, cui seguirono le grasse risate di Gelindo.

Quello che non sapeva era che il vecchio era ammalato di peste, e tornato al suo castello cominciò subito a sentire i brividi del morbo. Quando gli comparvero le macchie nere, Messer Gelindo fu rinchiuso in un sanatorio, privato delle sue ricchezze e dei suoi divertimenti. Gli altri nobili invece usavano ancora riunirsi in festa, e commentavano così la disgrazia del loro compare: “chissà che muoia in fretta, così erediterò i suoi poderi”, disse diceva Messer Raimondo; “chissà che il Signore lo faccia soffrire per i suoi peccati, gente come lui merita solo l’Inferno”, commentò commentava invece Messer Guglielmo sorseggiando il vino della cantina del conte.