Le voci perdute

“È un latrocinio!”, il signor Martin sbatté i pugni sulla scrivania con tanta veemenza che la montatura degli occhiali sobbalzò sul suo naso. “Un plagio!”.

Il signor Bernard, impiegato nell’ufficio legale della casa editrice, sospirò forse per la trentesima volta dall’inizio di quell’appuntamento. Stropicciò i solchi profondi delle occhiaie prima di parlare: “Glielo ripeto, signor Martin. Non c’è modo che il suo romanzo Le voci perdute sia stato copiato dalla nostra casa editrice. È impossibile. Si tratta di una spiacevole casualità”.

Martin rise ironico: “Casualità! Stesso intreccio, stessa ambientazione, stessi personaggi! Interi paragrafi sono copiati parola per parola! Questo scribacchino da rotocalco, questo Signor Dubois, è riuscito in qualche modo a mettere le mani sul mio manoscritto e a spacciarlo per suo. Sta ingannando anche voi, perché vi ostinate a difenderlo?”.

Il signor Bernard guardò l’orologio. Sarebbe tornato nuovamente a casa tardi e, un’altra volta, avrebbe trovato la cena ormai gelida. “E va bene”, disse in fine, sollevandosi sulle gambe intorpidite, “Vuole incontrare il signor Dubois?”.

Martin trasalì, sorpreso dall’inaspettata possibilità di conoscere la sua nemesi. Non era un uomo coraggioso. Si limitò ad annuire, in maniera meccanica.

“Mi segua”.

Bernard guidò Martin attraverso uffici e stretti corridoi invasi dalle scartoffie. Scese una lunga rampa di scale e si fermò davanti ad una porticina chiusa, dalla quale proveniva un basso ronzio.

Martin afferrò la maniglia. Deglutì.

Oltre la soglia apparve quella che sembrava un’enorme fabbrica sotterranea. Giganteschi macchinari sbuffavano vapore, pistoni alti come una persona stantuffavano ininterrottamente. Una squadra di operai si affannava per recuperare i fogli vomitati dalle stampe a rullo.

“Ecco qua il suo signor Dubois” disse Bernard, battendo la mano sul metallo. “Da anni ormai la nostra casa editrice non impiega più persone per scrivere libri. Grazie ad algoritmi sofisticatissimi, le nostre macchine assemblano lettere e parole casuali in ogni possibile combinazione. Quando ne esce fuori un testo di senso compiuto, la pagina viene stampata e passa in valutazione”.

Afferrò un foglio al volo e lo porse a Martin.

“Clarinetto, rana, topo, acido citrico”, lesse lui a voce alta “Ma… non ha senso”.

“Sta scrivendo una raccolta di poesie”, rispose brusco Bernard, strappandogli il foglio di mano e riponendolo al suo posto.

“Quindi mi sta dicendo”, articolò Martin lentamente, “Che quel coso ha scritto un libro uguale al mio?”.

“Non proprio”, sospirò Bernard; “Un un testo molto simile al suo è stato prodotto casualmente. A volte emergono in questo modo pagine della Divina commedia, o della Bibbia… Ogni testo del passato e del futuro uscirà da quella macchina, prima o poi. È statistica”.

Martin si era ammutolito. Semplicemente non sapeva più cosa dire.

Bernard gli appoggiò una mano sulla spalla, che lui percepì a malapena.

“L’industria editoriale non è più quella di una volta. Si fidi di me, cambi mestiere”.