L’enigma degli occhi spalancati

È uno sguardo enigmatico quel che davanti si para. Dolce, morbido, quasi impassibile al dolore e all’umiliazione, San Sebastiano sembra incurante dei dardi che tutto il suo corpo trafiggono.

Indifferente alla tua presenza, non t’osserva. Instancabile, scultoreo, egli non dice nulla.

Il più grande mistero sta nei suoi occhi. Grandi, espressivi, che inondano chi l’osserva della più benevola pace, rappresentano una delle più problematiche personalità della storia dell’arte.

È il cosiddetto Maestro dagli occhi spalancati, l’autore di questo meraviglioso dipinto. Ancora oggi, questi occhi spalancati rimangono senza nome, senza identità.

Pochissimo di lui si sa: anonimo artista ferrarese, si ipotizza che operò intorno alla metà del XV secolo. Probabile collaboratore di Francesco del Cossa, la sua mano è stata riconosciuta nel mirabile ciclo di affreschi del Salone dei Mesi a Palazzo Schifanoia. In particolare, a lui attribuiti sono i mesi di Giugno e Luglio.

Nessuna data di nascita o di morte, nessun documento certo: fu Adolfo Venturi a così denominarlo, ravvedendo in una serie di opere a lui attribuite una autonoma e potentissima personalità.

Il nome, l’appellativo con cui viene ricordato, è l’espressione della sua più grande particolarità: quegli occhi bellissimi e senza nome, verità e quasi irreali.

Dotato di una tecnica raffinata e dai dolci lineamenti, è uno dei massimi rappresentanti della cerniera temporale che collega il Gotico internazionale al primo Rinascimento.

Bellissima ed esemplare è questa tempera su tavola di San Sebastiano, datata 1470 circa, che a sua volta è avvolta da un alone d’oscurità e d’ignoto. Statuario, definito, ma allo stesso tempo dotato d’una sinuosa e affusolata fisicità, egli è immerso in uno spazio compositivo ch’è già al corrente delle novità prospettiche del ‘400. Il paesaggio dettagliatissimo, particolare, silvano e rupestre allo stesso tempo, con un misteriosissimo albero, ove il Santo è legato, immerge il Santo in una spazialità quasi magica. I monti e la foresta nascondono la lontananza d’una città, il cui impianto architettonico è ancora abbozzato rispetto a quello dei lavori di artisti come Paolo Uccello, ma lascia intuire la conoscenza del Maestro di queste novità.

Il dettaglio è estremo: i muscoli definiti di questo corpo longilineo, le pieghe del perizoma, le ombre del cielo. L’ambiente circostante, così come il soggetto, sono idealizzati, seguendo uno dei concetti cardine dell’arte di questo periodo. I colori, vividissimi e quasi irreali, sono magistrali e di una qualità indiscussa.

Ma è il viso di San Sebastiano che cattura la scena più d’ogni altra cosa: le gote rosse e piene, i capelli lunghi e fulvi, che conferiscono lui una presenza quasi androgina. Il collo e i nervi sono precisi, d’una stupenda realtà che stride con l’idealizzazione del luogo circostante. Tutto è catalizzato da questi occhi spalancati, grandissimi, neri e oscuri, come lo è l’ubicazione di questo straordinario lavoro. Comparso in un’asta a Lugano nel 1992, ad oggi nulla si sa del proprietario e di dove il capolavoro sia conservato.

E come innanzi al mare, bellissimo, anonimo e universale, ci si ritrova immersi in questo sguardo, pieno di tranquillità, che vuol dire tutto, eppur si tace. Mai sapremo di chi sono questi occhi, mai daremo un nome a questo ammirevole artista.

A questo sguardo senza identità, c’arrendiamo volentieri, pieni di ammirazione, senza difesa, in una totale empatia.

È l’enigma degli occhi spalancati, che del nulla e del tutto è il volto.