L’incubo nell’antico Egitto

Nell’Antico Egitto il sogno rappresentava una visione, a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, che aveva luogo durante la notte. Divinità ed esseri demoniaci, sfruttando i fragili confini della dimensione onirica, disturbavano il sonno delle persone, provocando in loro una serie di allucinazioni a volte piacevoli, a volte meno. I cosiddetti “sogni belli” (in egiziano rsw.t nfr.t) venivano generalmente stimolati dall’apparizione degli dèi: in effetti, come si legge in molti testi reali ed inni appartenenti al Nuovo Regno, incontrare la divinità in sogno, oltre a costituire un’esperienza positiva e benefica, coincideva molto spesso con l’avverarsi di un augurio o l’ottenimento di un responso. Al contrario, i “brutti sogni” (in egiziano rsw.t ḏw.t) erano percepiti come una terrificante invasione da parte di demoni e defunti che, opprimendo la vittima con la loro costante presenza, davano forma alle sue più grandi paure.

Mentre al giorno d’oggi questi eventi negativi sono conosciuti con il nome di “incubi” e vengono considerati come degli innocui fenomeni psicologici, gli antichi Egizi – oltre a ritenerli una minaccia – li attribuivano a mostri ed entità demoniache che si spostavano liberamente tra questo mondo e l’aldilà. I defunti, tra gli esseri malevoli più comuni, valicavano il confine tra la vita e la morte per vendicarsi di un torto subito o per avanzare richieste rimaste inascoltate. Un esempio di ciò che poteva capitare ad uno sfortunato sognatore proviene da una lettera datata alla X Dinastia (2160 a.C. – 2040 a.C.), rinvenuta dall’archeologo George Reisner (1867 – 1942) durante gli scavi della tomba del sacerdote Meru a Nag’ ed-Deir. L’autore del testo, cioè Heni, figlio di Meru, racconta al defunto padre che il servitore Seni, anch’egli morto, lo tormenta e infastidisce ogni notte in sogno. Per questa ragione il figlio, colpevole tra l’altro di aver maltrattato il proprio servo, chiede al padre di intervenire e di impedire a Seni di ossessionarlo ancora. Che si tratti o meno di un caso di rimorso di coscienza, è piuttosto evidente che il terrore e l’inquietudine provati da Heni furono talmente forti da non vedere altra soluzione se non quella di scomodare il defunto padre. L’incubo era perciò debilitante, angosciante, e la vittima si affidava alle soluzioni più disperate pur di liberarsene. A tal proposito, gli antichi Egizi ricorrevano persino all’uso di pozioni magiche. Una delle più famose, contenuta nel cosiddetto “Papiro Medico di Londra”, consigliava di pronunciare uno scongiuro attorcigliando insieme, rigorosamente verso sinistra, un sottile filo di stoffa, una fibra nera, il pelo di una scimmia marrone-grigiastro e il fegato di una tartaruga, per poi adagiare il tutto sul proprio stomaco e addormentarsi, finalmente, in serenità.