Nove vite

Un palazzo antico incrocia via Giovanni Servais e via Crevacuore. I suoi davanzali sono spogli e gli scuri incupiti dallo smog e dal tempo, il grigio solo fuori e la vita solo dentro.
Al piano terra abita da qualche mese una coppia di ragazzi persiani. Portano sulle spalle il peso della loro cultura e quello dei pregiudizi, e nelle narici il profumo della menta e del timo, cercando di aggrapparsi in qualche modo a qualcosa che li faccia sentire a casa. Lei si disegna con le dita dei cerchi sui jeans, non c’è nessun rumore oltre a quello delle macchine che passano lente di là del marciapiede.
Nell’appartamento vicino, una signora anziana vive sola dopo la morte del marito. Le credenze straripano di foto spolverate in cornici d’argento ormai ossidato, la poltrona di velluto pesante lascia vedere il calco del suo corpo che ci si abbandona sopra, gli anni hanno consumato sempre lo stesso piatto e lo stesso bicchiere. Apparecchia la tavola sempre per due, si butta sempre dallo stesso lato del letto. Vicino alla porta c’è un carrellino di stoffa con le ruote per fare la spesa, perché ormai certi pesi non sa più portarli.
Salita una rampa di scale due ragazzi si riprendono dopo due settimane lunghissime, ballano in salotto senza conoscere i passi, c’è una bottiglia di vino lasciata a metà sul piano della cucina. Lei gli chiede qual è la cosa più bella del Giappone e lui senza pensarci nemmeno un secondo risponde “le edicole”. Poi fa una pausa, e con il viso più rilassato aggiunge “il ponte davanti al castello di Osaka”. Un’altra pausa: “i cerchietti con le orecchie, Nambayasaka, il silenzio, almeno tre cose che ho mangiato e di cui non ricordo il nome, una signora che mi ha chiesto da dove venivo e quando le ho detto Italia mi ha fatto il segno della croce”. Come sempre non basta mai. Si gustano le labbra a vicenda, tutto scorre e niente li spaventa, adesso sono qui.
Dall’altra parte del muro un uomo sogna di essere l’uomo che non è, portando a braccetto per le strade di Roma un’attrice famosa che si concede a lui davanti a Fontana di Trevi – “non potevo più resisterti”, gli dice nel sogno. Si sveglia sorridendo, beve un sorso dell’acqua che tiene sempre sul comodino, si gira sul fianco abbracciando la sua bambina e si addormenta di nuovo.
All’ultimo piano abita una ragazza con delle unghie costose e una passione per i gatti malandati. Ha cambiato tutti i bottoni del suo cappotto sostituendoli con altri più vivaci. Un giorno ha detto alla sua migliore amica che aprirà le porte della sua casa e regalerà tutto. È l’ultima a venire raggiunta dall’odore di gas e la prima dall’esplosione. Le fiamme si portano via tutto, accartocciano i mobili come fossero fogli di carta. Le persone escono correndo dalle loro vite chiedendo aiuto, senza scarpe e senza pensarci un attimo. Stretti in una coperta termica dorata chiudono gli occhi pensando a tutto quello che avevano e che è andato perduto. Nove vite sconosciute unite da un numero civico e da un incendio doloso.