Om mani padme hum

Pochi giorni di vita e già mi era chiaro come avrei voluto andarmene.

Stavo zampettando sul monitor di un televisore al plasma quarantadue pollici quando una stranissima immagine mi ha colpito, squarciato, o forse illuminato; si trattava della fotografia in bianco e nero del monaco buddista vietnamita Thích Quảng Đức nella posizione del loto, schiena dritta e impassibile, quasi interamente avvolto dalle fiamme. Di fianco a lui, da una parte una sola tanica di benzina, ormai vuota, e dall’altra parte centinaia di monaci a contemplare quel martirio bruciante.

Ho fermato le zampette e le antenne, mi sono messo a fissare la drammatica immagine, poi ho finito di ascoltare il documentario. Una sottile voce femminile ha raccontato che il monaco decise di darsi fuoco per protestare contro il presidente del Vietnam del Sud, ma soprattutto contro le politiche oppressive nei confronti del buddismo. Ed è proprio in quel momento che mi è venuta la folgorazione.

Anche io sarei morto da eroe. Non mi sarei fatto schiacciare da nessuna mano, scopa o ciabatta. Sarei morto sì, ma bruciandomi di un fuoco vivo.

Poi un dito deve aver schiacciato il tasto del telecomando e la superficie è diventata una distesa tutta nera. Io sono volato da un’altra parte, sulla tenda della finestra poco lontana, ho chiuso gli occhi e ho provato a meditare. Giuro che ci sono anche riuscito per qualche istante; ho anche avvertito un leggero tremolio sulle antenne. È stato profondo, a tratti magnifico.

Mi sono messo in disparte qualche giorno, sotto una piccola mensola, per cercare di intensificare la pratica e poi sono ritornato, sereno e pacifico. Tutte le altre cimici mi hanno osservato zampettando via, stolte, senza nemmeno fare il tentativo di capire. Non ho potuto che provare una gran compassione.

Sono stato a vagabondare un po’ per le stanze, un po’ come fece il bel principe Siddharta, poi ho avvertito un’energia, immensa e tinta di rosa, avvicinarsi alla mia inutile corazza. Mi sono lasciato immobilizzare da una primordiale paura, poi ho cominciato a volare, mentre qualcos’altro, che sembrava essere un asciugamani, tentava di rincorrermi nell’aria. Resti fra noi, ma si sa che non abbiamo grandi doti aeree. Così ho capito che era giunto il momento.

Ho puntato dritto la lampada ancorata al soffitto, con un fortissimo slancio di addominali, e mi ci sono scagliato contro, a tutta velocità. Ho fatto in tempo a vedere le altre cimici che mi guardavano con quel misto di curiosità, incredulità e forse ammirazione.

È così che ho deciso di farla finita. Un greve respiro di diaframma, uno zzzzzzzz che si spandeva mistico nell’aria, un impatto crudele e pacifico allo stesso tempo, un fetore che si faceva sterminato, e la mia vita che si interrompeva, mentre tutto continuava a scorrere, oltre quei nasi assassini che si torcevano per poi tapparsi, e i miei simili acquattati, che se ne stavano a guardare da dietro quelle tende bianche, dove giacevano soltanto polvere e minuscola vigliaccheria.