Ma perché non ti trovi un hobby?

“Ma perché non ti trovi un hobby?” mi ha chiesto un’amica.
Da anni vivo lontano da dove vive lei. Col tempo ho fatto pace col fatto che quella che doveva essere una distanza geografica è anche una catastrofica distanza totale. Mi sono faticosamente laureata gli ultimi giorni di luglio, la mia estate è stata veloce e scoordinata come le competenze erotiche di un quindicenne e quello che mi passa nella mente è un groviglio confuso di eccitate idee improbabili e depressione. Ma ecco che dal nulla, mentre eravamo sulla spiaggia
di notte, sperando di vedere le stelle, in compagnia di alieni, è venuta fuori questa domanda. Ho sorriso ed ho risposto “sì, è vero” e velocemente ho distolto lo sguardo verso la riva tempestata di culi pallidi e palpitanti per l’imminente ingresso nella nera acqua di mezzanotte. Non vi è stato un ulteriore approfondimento della questione, né un preavviso nelle parole scambiate prima. Quest’ultimo lo avrei preferito, così la domanda sarebbe sembrata il naturale svolgimento di un dialogo.
Come una curiosità sull’oggetto strano che sono, meditata forse scrutando il firmamento di agosto o forse da anni, dall’alto della totale incomprensione e con la presuntuosa pretesa di dare un consiglio. Ha fatto leva sulla mestizia del post laureato, che ci affligge tutti oramai, prima, durante, dopo o anche senza laurearci. Siamo abituati a non avere speranze da decenni. Io mi trovi proprio lì, nel centro pulsante del problema, vulnerabile come una lumaca bavosa senza guscio. Sono sembrata forse priva di interessi. O peggio ancora una persona annoiata. E perché ho sorriso ed ho annuito? Ho finto immediatamente, codarda; era più facile annuire che sputare fuori le fiamme che ho lasciato uscire dagli occhi che, codarda due volte, avevo rivolti alla sfilata di natiche bagnanti. Le avrei dovuto dire che non ho bisogno di hobby per riempire la vacuità della mia esistenza; la mia esistenza non è vuota: non ho un lavoro e nella vita, salvo rare eccezioni, ho solo studiato, ma non mi sono annoiata. I miei pensieri, come quando ero una bambina, si aggrappano a tutto e arrivano dove vogliono, non conosco la solitudine neppure quando sono sola. Ho avuto un bel po’ da fare negli anni passati a cercare di ricostruire dalle macerie, ne è venuta fuori una casetta abitabile fatta di materiale di recupero, ci sono pezzi di cesso ma anche capitelli corinzi, con un piccolo giardino e un gatto, senza letto per colpa dell’insonnia, tanto si scopa bene ovunque, e un bel catino dove vomitare verdi risposte alle domande banali, mai utilizzato. No, non lo voglio un hobby, non so che significa, cosa vuol dire e se pensi che mi serva, o serva in generale dopo il 1957, mi viene voglia di spaccarti la testa con la mia testa, così ce la spacchiamo insieme, così almeno ci sarebbe qualcosa che ci accomuna ancora, ovvero la testa spaccata, aperta, un po’ del mio cervello nel tuo, così ci confondiamo ancora un altro po’, come si faceva quando eravamo sorelle, che ti guardavo e mi capivi e non mi facevi domande e ora invece voglio solo spaccarti la testa.