Perché sei un cuore rabbioso

Si sveglia nel mezzo della notte, colta da tremore. La luce acida di un lampione filtra dalle finestre. Lei strizza gli occhi, si stringe nella trapunta. Sente freddo eppure è caldissima, come se il suo cuore avesse la febbre e il resto del suo corpo la febbre al contrario. Mentre cerca di stabilire equilibrio termico fra dentro e fuori, riflette su quel fuoco che pare scorrerle nelle vene. Gli cerca un’origine, un nome. Anche suo padre custodisce una fiamma viva e scintillante simile alla sua, gliela vede dentro quando parla di ciò che meglio conosce e di ciò che più ama. La Manu invece trasporta una fiamma diversa, è come un tedoforo dal passo leggero e inesorabile che marcia instancabilmente da tutta la vita per non far mai mancare luce e calore a chi ne ha bisogno intorno a lei.

È stata proprio sua madre, in un tempo passato che non riesce a collocare, a chiamarla per la prima volta “rabbiosa”. Allora non era suonato né come un insulto né come un elogio, era semplicemente un aggettivo che aveva riempito i suoi spazi vuoti. Rabbiosa. Affamata e vorace, instabile e irrefrenabile. Avvolta da fiamme ora altissime, ora flebili. Ma nel suo nucleo, sempre caldissima. La Manu era stata la prima a notare che sotto quella pelle bianca coperta di efelidi c’era un cuore tachicardico che andava a fuoco.

“Non sei arrabbiata, tu sei rabbiosa”.

Non aveva più sentito quella parola così cara alla sua memoria, finché un giorno si era rifatta viva senza annunciarsi, affidata a un messaggio di inizio estate: “Perché sei un cuore rabbioso”.

Spalanca gli occhi e si ritrova attorcigliata fra lenzuola e coperte di cui ora vorrebbe liberarsi. Ecco la sua risposta. Se qualcosa le infiamma il centro della cassa toracica ad ogni ora di veglia e di sonno, è perché lei non è altro che un cuore rabbioso, da sempre. E non è la sola ad avvertirlo: anche chi si è avvicinato abbastanza a lei da rischiare di bruciarsi l’ha sentito. Chi nel guardarla la vede davvero, lo sa: il suo centro è fatto di fuoco, e come ogni fuoco acceso può propagarsi incontrollato, ustionare, ferire. Ma la stessa energia può essere usata per forgiare, confortare, guarire, rallegrare, stupire. Il fuoco sa essere spettacolare.

Traccia nella mente una linea di confine fra il suo potere distruttivo e quello caldo, buono. Lei è rabbiosa, non arrabbiata; è fatta per consumarsi senza restare cenere; è pronta a contenere il suo nucleo rovente, a scottarsi per non scottare chi cerca di abbracciarla. Cosa farà di quella fiamma ereditata da papà, protetta e decifrata da sua madre? Cosa farà di quel cuore che finalmente qualcun altro ha capito? Ora non deve più alimentarlo e controllarlo da sola, non è più soltanto suo. Si alza, va a prendere un pezzo di carta. Scrive tutto questo a matita, calcando forte: proprio come lei, la punta di grafite si consuma trasformandosi in parole, senso, lava.

Non ha più freddo, solo sonno. Il suo cuore non ha più la febbre, è solo acceso. Torna a letto. Torna a bruciare.