Polvere e Dentifricio

“Contro la noia anche gli dei lottano in divano.”
“Rattristarsi dal bere divino.”
La sveglia scheggia il mio sonno, strappandomi con lenta violenza dall’aldilà. E’ come un emergere svogliato da un’immersione. Cerco a tastoni di farla tacere, ma la notte prima sono stato previdente. E’ sulla scrivania, a qualche passo da me. Il frastuono mi sta, piano piano, entrando nella ossa, mi sta suonando l’apparato scheletrico come fossi un cazzo di triangolo. Ti prego smettila.
Mi regala un secondo di pausa prima di risuonare. Questa volta ormai la magia è stata spezzata e lo so che dovrò abbandonarmi alla vita. Apro gli occhi. Un raggio di sole entra di sbieco in camera, osservo controluce rincorrersi miriadi di pallini, armoniosi che mi ricordano dolcemente che la densità di polvere ha nuovamente superato i limiti della conferenza di Parigi e che quando aprirò la finestra mi sentirò leggermente morire.
Cercando di non stravolgere troppo il mio corpo cerco di mettermi seduto. Mi sento sedato. Vorrei stare qui degli eoni, tornare indietro nel tempo, dormire e non dovermi mai svegliare. Delle giornate che mi vengono sbattute in faccia ne vorrei solo qualche all’anno. Quelle di festa, quelle in cui le ragazze scoprono le gambe e quelle di pioggia alla sera, qualche minuto, quella leggera e festosa che sembra un bacio sul collo.
Le altre ormai mi passano affianco e non mi toccano, come alberi in un viaggio in auto. Veloci, impersonali, leggermente diversi ma identici. Dopo un po’ diventano solo altre conifere, altre persone, altre giornate. Una volta mi incazzavo. Una volta alla mattina coloravo le giornate di pittoreschi accostamenti tra dio e l’intera tassonomia animale. Ora il silenzio mi abbraccia come un maglione troppo largo fa con una ragazza. Voi lo sapevate che un terzo delle medicine vendute nel terzo mondo per malattie come la malaria, l’HIV/AIDS e tubercolosi sono contraffatte? Nemmeno io. La reazione è stata una scissione schizofrenica. Da un lato sapevo che avrei dovuto reagire indignandomi, il mio sangue avrebbe dovuto iniziare a correre lungo le vene con il cuore che impazziva scalpitando dentro la cassa toracica come un cavallo selvatico, eppure la mia reazione fu di blando disgusto. Pensavo alla notizia e placidamente mi arrabbiavo. Pigramente pensavo a quanto bisognasse essere delle persone orribili, ma per queste persone orribili non provavo niente più che un leggero fastidio, come quello nei confronti della musica delle generazioni più giovani.
In tutto questo mi stavo ancora lavando i denti. Il polso si muoveva meccanico, il gomito appoggiato al fianco, nessuna spinta emotiva. Non voglio affaticarmi per sorridere agli altri, che poi lo faccio eh, ma perché devo, ma non voglio. Che cazzo ci sarà mai da essere così entusiasti. Sputo sul lavello dentifricio saliva e sangue. Trascino i piedi lungo il deserto di polvere di casa mia. La vedo ancora turbinare instancabile nei raggi di luce che trafiggano la penombra. La vostra vitalità mi infastidisce. E’ il turno dei vestiti.
Che palle, ancora una volta la stessa storia. Stessi vestiti, mai che le cose ci sorprendano. Che un armadio si mangi i pantaloni, che le mutande ti facciano una sega, che i calzini si trovassero dopo una lavatrice. Tutto quello che ho qui davanti ai miei occhi sono ore di lavoro trasformate in oggetti prevedibili. Legno, metallo, tessuti, composti ed eterni. Identici, come gli addominali dei palestrati nelle foto, cercano di mantenersi insieme, rigidi. Me li indosso. Con poco entusiasmo, uno alla volta.
Per il 70% la polvere è composta da pelle umana. Per il restante 30% non ne ho idea e sinceramente mi sento di sapere già una cosa di troppo sulla polvere. Penso ai primi passi fuori dalla porta, tra qualche minuto e mi viene l’angoscia. Vorrei avere una qualche ragione del cazzo per uscire e spaccare il mondo, ma ancora una volta mi sa che la cosa che si spaccherà saranno le mie palle.