Preferirei di No

Sì, lo conosco. Eccome se lo conosco, caro Charles. Hai ragione quando lo chiami mostro delicato, perché nulla è più orrendo della condizione – che sa di pianura nera, di landa da non svegliare col desiderio – in cui i suoi tentacoli ti imprigionano; e nessun tocco, si sa, è tanto invitante quanto il raso dei lacci che al divano ti stringono, mentre il sacchetto di patatine nella destra ti impedisce di raggiungere l’alcolico poggiato sul parquet. Non vorrei essere seduto qui, perché il mio posto è altrove. Parlando di patiboli tu muovi in me il sogno di ottenere, finalmente!, una colpa per ciò che rinuncio a fare. Ma ascoltami, Charles, è proprio questo l’aspetto più deprimente della mia condizione di accidioso: la commiserazione che nutro nei confronti di me stesso è infinitamente più debilitante di qualunque rimprovero pronunciato da labbra altrui. Mi sfibra i muscoli delle gambe, e riesce nella più difficile delle sfide: prolungare lo stato di quiescenza attivando un meccanismo di retroazione positiva. Lo spiegano bene gli scienziati, animati come sono dalla lena ottimista che la loro materia impone: come ti senti quando la pena che provi per il te stesso molle e volutamente inabile prende possesso delle tue giornate? Se la risposta è bene – perché quei patiboli e quelle giurie popolari sono pensieri evanescenti della mente che fantastica, e non stimoli nervosi, colpi elettrici per membra morte – allora continuerai, e la lena sarà sempre minore, lontano come sei dal foglio sul quale dovresti sudare. Mi piacerebbe, oh sì!, avere la faccia tosta di dire, come il Bartleby che fu, «Preferirei di no». Pronunciando la sentenza mi sentirei forte, definito, dotato di un profilo tratteggiato con pennarello nero a punta fine. Già, perché scegliere significa dare forma, sagomare l’identità che non voglio trovare, meno che mai sul bianco del documento virtuale che da due settimane non riesco a riempire. Io resto immerso nell’incertezza, abbagliato dalle possibilità che non mi concedo di scoprire e atterrito di come le colpe di una scelta rivelatasi in futuro errata non potrebbero che cadere su di me soltanto. Mi compiaccio del grigio che oramai ha coperto ogni dettaglio della mia stanza: con l’assenza di gradazioni non c’è alcun pericolo che una sfumatura causi in me una palpitazione. Resto qui, Charles, piantato di fronte al bivio a fissare un cartello direzionale bifronte di cui non riesco a leggere le destinazioni, perché non ho scelto di poterle immaginare.