Sam again, and again, and again

Dopo essere cresciuto in mezzo ad una giungla così fitta da non riuscire nemmeno a respirare, non ho avuto difficoltà ad ambientarmi in città. L’aria era malsana ma non si viveva male, si bevevano alcolici di pessima fattura, si mangiava quel che arrivava dalle piantagioni, sopravvivendo con lavori saltuari al mercato. Finché in una di quelle piantagioni non ci sono finito, a lavorare. Era la terra di un tizio che non si era messo a pregare il nuovo Bao Dai, ma io non avevo grossi problemi a riguardo, anzi: terra da coltivare, polli da allevare. Era tutto quello che non avevo mai avuto. In paese girava voce che il nuovo governo volesse dare più terre agli uomini buoni, che chi rispettava le regole non aveva nulla da temere, anzi tutto da guadagnare. Ma un giorno dal sud arrivarono in troppi, presero tutte le galline e uccisero due miei figli e un mio cugino. Scappammo nella giungla verso l’interno, a ovest. Girava ora un’altra voce, che quelli del sud volevano recuperare le nostre terre coltivate, ingiustamente, volevano toglierci quello che avevamo guadagnato con tanta fatica. Avevano ucciso i miei figli. La giungla era tornata la mia casa. Eravamo in molti ormai a radunarsi qui, spesso si andava verso il confine con la Cambogia a comprare armi, ma per la maggior parte erano rubate ai nemici. Arrivavano con enormi aerei e bombardavano senza sosta ogni spiazzo che vedevano nella giungla, ma difficilmente entravano qui dentro, avevano paura, come tutti gli altri, di morire. Ma io no. Non avevo paura nemmeno quando gli aerei lanciavano quei liquidi sulle nostre teste, bruciavano le foglie, bruciavano gli occhi. Mi dissero poi che si chiamava “Arancione”.
Gli anni nella giungla sono stati lunghi, ma dovevamo vendicarci per le nostre terre distrutte e per gli affetti assassinati. Il nostro capo, lo zio Ho, ci disse di attaccare a capodanno, tutti assieme, vennero pure cinesi, laotiani e portavano armi russe. Gli infami del sud e i loro amici bianchi non riuscirono a fermarci. La giungla era nostra, la paura era nei loro occhi. Erano due anni che non riuscivo a mangiare carne di maiale, erano due anni che non mangiavo carne commestibile, talmente buona che mi sembrava di non averla mai assaggiata, talmente buona che sembrava la prima volta.

“Abbiamo un problema: rendere
credibile la nostra potenza. Il Vietnam
è il posto giusto per dimostrarlo”
JFK

(di Riccardo Alessandro Didonè)