Vino chiaro

Ci sono cose che decidi e cose che capitano, ma la maggior parte delle cose capita quando le decidi. Così è anche per la ciucca.

La sbornia parte prima, quando ruoti il fusto di un calice tra le dita e il primo vino scivola in bocca, lì, quando il gusto ti riempie le guance. In quel momento decidi se prendere il volo o restare, guardi il liquido nel bicchiere e sai cosa contiene davvero, quanti strati di razionalità può spellarti di dosso. Conti le volte in cui dovrai tirare indietro il capo e far correre in gola una piccola dose, attenta al livello che pian piano sale come benzina in un serbatoio.

Sei misurata e accorta prima del sorso che ti fa passare di là, spiccando i piedi da terra. Sei una macchia calda poi, che scivola e saltella padrona di sé e degli altri. Non puoi sbagliare sul serio, perché ogni errore è rimediabile, ogni cosa piccola nel momento in cui corre da ora a un attimo fa. Il senso di vergogna è l’ultima cosa che lasci cadere a terra, come gli slip prima di entrare in un letto già occupato, e la prima che raccogli quando torni.

Il tempo salta a grandi balzi sull’orologio, vi ignorate a vicenda perché state trascorrendo due serate lontane. Vi girate le spalle e parlate con persone diverse, di cose diverse. Quando la coppa interiore è colma, puoi scegliere ancora: se ballare tenendola in equilibrio senza rovesciarla, o continuare a versare allagando intorno come in un personale diluvio universale. A quel punto, il contenitore diventa contenuto senza memoria.

C’è della poesia nella sbronza, nella misura in cui c’è della poesia in noi stessi. Bere può sollevare il filtro tra pensieri e parole, togliere il cotone in cui avvolgiamo pezzetti di noi ed esporli senza mediazioni, potenti e disarticolati, ma non può inventare. Migliore e peggiore non sono gli estremi della scala adatta per valutare le persone che si è da ubriachi, perché da ubriachi dimentichiamo di giudicare.