Vuoto a perdere

Non aveva mai fatto troppo caso a quel verde così intenso e scuro. In fondo non aveva mai potuto vederlo veramente e in un certo senso non si era mai guardata. Ma quella sera, ritta in piedi sul freddo tavolino di marmo del caffè parigino a St.Germain, mentre conduceva lo show per la quale era stata concepita, la bottiglia di vino capì che le sue graziose capriole sul bordo del calice avrebbero avuto un’unica e inevitabile chiusura. Si sarebbe svuotata.
Per tante mattine grigie, sullo scaffale della cantina, aveva sognato la notte in cui, con l’elegante e sfacciato schiocco del tappo di sughero, avrebbe perso la verginità e avrebbe potuto iniziare a cantar via per il collo liberato le note agrumate della propria anima.
Ma in quella sera umida tutto le appariva diversamente. Oscillava da destra a sinistra, sanguinando vino nel vetro dell’uomo. Sempre più incerta e sfatta, poteva vedere il proprio verde scheletro trasparente emergere, mentre il vuoto la riempiva, mentre il senso si appiattiva sempre più misero verso il fondo.
Non sapeva esattamente come era arrivato al tavolino umido fuori da quel caffè a St. Germain. Per un attimo pensò che Parigi sarebbe stato il posto perfetto per bere da solo un’intera bottiglia di vino, in una notte triste. Ma non si trattava di nulla di simile: quella non era una sera triste e quel caffé non era certo quello che un sognatore di plastica avrebbe potuto immaginare. Sapeva che il cameriere pakistano, confezionato in una falsa camicia bianca e strozzato da un papillon per turisti, era alle sue spalle e impaziente attendeva il momento in cui quell’unico cliente da serata fiacca avrebbe tolto il disturbo.
Ma sarebbe stato lo stesso. Rimanere seduto o alzarsi, rientrare in casa o prendere un aereo: le differenze e le preferenze erano state dolorosamente divorate dalla confusione bianca che aveva infestato il suo cervello. E sapeva che non era colpa della bottiglia di vino.
Non faceva più male, non a quel punto. Vedere i gusti suicidarsi via via, quello sì era stato doloroso. Ma adesso, la pancia era una tavola senza desideri e in gola sentiva che una mongolfiera nera si era gonfiata togliendo spazio a tutti i nodi.
Si versò l’ultimo bicchiere, svuotando la bottiglia. Contorno verde senza opinione: era solo questo ora. E non era doloroso, non lo era più. Sentì che veniva presa per il collo dalla mano del cameriere pakistano. Accasciandosi nella fossa comune del cassonetto, sentì il proprio suono di vetro vuoto risuonarle dentro. Ma non faceva più male, non a quel punto.

(di Caterina Gentili)