Il canto del beduino

La vita del deserto. Il deserto della vita. Inizia a far freddo, il sole è ormai rosso nascosto dietro all’ultima duna lontana, il beduino in silenzio ancora procede. Fiero sopporta, sulla groppa del dromedario che da tempo lo accompagna. Per sua natura, nemmeno l’animale è disposto a mollare. Ma è stanco, avverte anch’esso l’arrivo del tramonto. Quello definitivo.
L’uomo ricorda; i suoi occhi, due esili fessure, bruciano per la sabbia. No, bruciano per il pianto. E’ così amaro per lui dover tradire una lacrima, lui che per tutta la vita ha tenuto alto il valore dell’onore. Fiero ha combattuto, non ancora ventenne già conosceva il deludente sapore della vendetta. Un membro di un’altra famiglia osò toccare sua madre. Quella fu l’unica volta che usò davvero la spada.
Quanti anni erano ormai passati. Il deserto, l’unica vera e costante certezza. Il simbolo arido, depresso, l’emblema della solitudine diveniva così l’equilibrio, la linea del tempo sulla quale tutto avveniva.
L’oasi era il fine per il quale valeva la pena rischiare il cammino. Sapere che essa esisteva, chissà dove, e chissà quando, voleva dire sperare. Egli aveva avuto fiducia. Per questo, forse, ce l’aveva sempre fatta ad arrivare prima che fosse troppo tardi.
Questa volta si ferma, troppo buio per continuare, l’oscurità impone l’umiltà di sapersi arrendere. Irrigidito smonta dal dromedario; che bella sensazione appoggiare i piedi nudi sulla sabbia, la quale ancora serba un vago tepore delle ore diurne. Ora, a terra con le gambe incrociate, si concede una  tazza di caffè fumante: riscalda le mani, riscalda un po’ l’anima.
Il beduino chiude le palpebre stanche, borbotta un vecchio canto sunnita, da piccolo suo padre glielo cantava ogni sera, gli donava un sonno tranquillo. Anche ora, lì cullato tra le dune eteree del suo Sahara, lo fa addormentare.

(di Enrico Casetta)