È settembre

È settembre. Quando si è lasciata alle spalle il passaggio fugace di curiosi esploratori che al primo scalino già si illudevano di conoscerla. È settembre. Il cielo più limpido e la laguna più insicura, si incontrano in un rituale che esplode in un bacio, ogni sera con la fretta di amarsi un po’ prima.

È settembre. Sto seduta ad osservarla dal Terminal B. Esco dal mio tragitto sicuro di calli e campielli, ma all’improvviso qualcosa si sgretola. San Giorgio, Giudecca, Sant’Elena, Castello: non danzano più sullo stesso pezzo lento, si guardano da distante e fingono di non conoscersi più. Si ignorano come se non fossero parte dello stesso spettacolo. Perché non sono più felici insieme?

È settembre. L’imbarcadero del Lido si svuota, lascio partire il vaporetto e resto seduta sul pontile ancora un po’, con le gambe a penzoloni, per la risposta che cerco.

È settembre e non mi ero mai accorta di quanto fossero diversi. Sant’Elena con un insolito verde che fa da scudo a un’isola timida. San Giorgio, che si porta addosso l’inevitabile solitudine di chi si nutre di attenzioni. Giudecca, grande osservatrice di poche parole. E poi Castello, che si lascia attraversare da una normalità instabile e un silenzio pronto ad esplodere.

Li osservo per un’ultima volta prima di salire sul 5.2. Non è settembre, è Venezia. Che sa mettere insieme i pezzi anche quando niente dovrebbe incastrarsi. Che sotto la pioggia, in mezzo alla nebbia, sa trovare tra la folla chi può tenerti la mano e ballare con te. È Venezia e non le importa da dove venite o quanto restate, tanto sa come farvi innamorare. Quello che non sa è cosa succede a qualche passo di distanza, fuori, dove tutto diventa fragilità. La stessa di chi quei pezzi li sta per lasciare lì e pensava di poterseli portare dovunque.

È Venezia, eravamo noi.