E230, detto anche Difenile

Nessuno capiva come mai attendessimo il giovedì, giorno di mercato, con tale smania. Che le nostre madri tutte uguali tornassero a casa cariche di formaggi stagionati, polli arrosto, calzini di spugna per noi, calzini in filo di scozia per i nostri padri, e almeno due reti di arance ciascuna. La nostra felicità era contenuta in quelle sporte che segavano le dita. Una felicità fatta di carta velina e di colori sbagliati. Di E230, o difenile, una sostanza chimica. Di cui la carta delle arance era intrisa. Usata come conservante. Oppure – da noi – come droga. In ogni confezione si potevano trovare anche sei, sette arance fasciate così. Fogli con stampato il nome di una città del sud e il viso del jolly mentre faceva la linguaccia.
La scoperta della virtù stupefacente risale a un pomeriggio di inverno. Mia cugina aveva ritagliato dalla carta di un’arancia il volto del jolly, e se l’era appiccicato sulla lingua, imitandone l’espressione, in un’inconsapevole mise en abîme. Un’ora più tardi era inginocchiata in mutande – delirante ed estatica – nella neve marcia. Da quel momento, nel quartiere, la richiesta di vitamina C da parte di chi aveva tra i 10 e i 17 anni crebbe in maniera esponenziale. Ogni giovedì pomeriggio, dopo i compiti e i cartoni, ci davamo appuntamento dietro la canonica. Con le nostre scorte di carte veline. Decine di jolly, tutti uguali, ridevano sulle nostre lingue, contro i nostri palati. Come se si prendessero gioco di noi, mentre la saliva si tingeva di rosso e di blu. Mentre qualcuno chiudeva gli occhi e diventava un falco, qualcuno vedeva i mostri, qualcuno baciava qualcun altro. Poi tornavamo a essere normali.

(di Giulia Mietta)