Emma Wedgwood

Si disse che Charlie sarebbe cambiato. Emma l’aveva sposato per amore, per illogica, spasmodica ansia di possesso, nonostante lui fosse così distante, e fosco, e inafferrabile. Charlie aveva i suoi libri, le sue piante, i suoi semi e persino quel costante tormento tra la fede coriacea, violenta che, a forza, gli era stata insegnata da piccolo e gli studi che eseguiva ogni giorno, che gli mostravano una verità diversa, inaccettabile per il pulpito che ancora temeva.
Passeggiava, per ore, nella brughiera sempre più umida, si perdeva, divagava. Passeggiava solo, lontano da lei, anche ora che la famiglia era cresciuta, grazie a serate in cui lei era stata più audace e lui aveva ceduto, rassegnato. Più spesso Emma si limitava ad aspettarlo muta, nella grande camera fredda. Invano, il più delle volte.
Lei, un tempo così allegra, ammirata e invitata in tutti i salotti mondani, lei che era stata ansiosa di scoprire, di partire, di intraprendere nuove avventure si ritrovava persa in quella magione troppo grande, isolata da tutti. Era stato l’amore la causa di tutto? Quell’amore che l’aveva sorpresa nel più banale dei modi, con l’affetto tenero e inossidabile per un cugino un po’ timido, che era appena sbarcato da una nave che veniva da lontano, dove lei sentiva che mai avrebbe potuto arrivare? Aveva ancora quei mari negli occhi, il suo Charlie, e l’eco lontana del canto di fringuelli esotici che mai lei, avrebbe ascoltato. Quando lui era più spensierato del solito – ed erano rare le sere in cui questo accadeva – le parlava di tartarughe immense e spiagge bianchissime, e si riempiva la bocca di quei nomi latini e cantilenanti che a lei ricordavano i pomeriggi passati con una vecchia istitutrice. Lui non era bravo con le lingue classiche, arrancava sulle consonanti in modo goffo e polemico, come un orso in frac. La lingua danzava morbida e sicura, sul palato di Charlie, solo quando pronunciava il nome di quei luoghi remoti che lui ancora sognava: Isabela, Santiago, Santa Cruz… Galápagos. Loro erano il suo primo amore, lei, solo ora lo intuiva, era una compagna devota, una madre amorevole e un’insostituibile compagna di backgammon: le sarebbe bastato? Emma guardò Charles, intento a scribacchiare in quei suoi fogli che di giorno in giorno si moltiplicavano: le dita sporche di inchiostro, i capelli arruffati, le sopracciglia corrucciate. Guardò quell’uomo così distante, così sfuggente, perso nelle sue elucubrazioni… valeva la pena passare tante notti solitarie per stargli accanto, per avere pochissimi, brevissimi istanti di pura passione e giorni, o mesi, di solitari andirivieni?
E ad un tratto lui alzò la testa dallo scrittoio per un breve momento fugace: la vide, le sorrise. Ed Emma decise: sì, ne valeva la pena.

(di Lisa Lanzarini)