Il filo

Il forte odore di incenso quasi mi fa lacrimare gli occhi. Non ci faccio caso, e finalmente raggiungo una tenda bianco sporco. La scosto ed entro in una piccola stanza, ; la fioca luce di un’unica candela riesce a malapena ad illuminare i pochi arredi, ma non importa, conosco perfettamente questo luogo. Non c’è tempo da perdere, sono in ritardo. Le pareti di pietra diffondono il suono della mia corsa, così cerco di ricompormi sistemando l’orlo della toga. Solo ora mi accorgo che le mani, che prima scorrevano lungo un antico telaio di legno, ora sono ferme. Un’improvvisa brezza fa tremolare la fiammella, un brivido mi scorre lungo la schiena. Ormai non posso più evitare gli occhi di Cloto, e non posso non notare una vena di rimprovero . Cloto è una delle tre Moire, le Parche romane. E’ È colei che dirige la parte iniziale della tessitura del filo della vita: la nascita di ogni uomo, i primi attimi, i primi sospiri, sono tutti in mano a lei. Volto lo sguardo poco più in là, cercando un secondo sguardo, quello di Lachesi. Lei invece decide la lunghezza del fuso, cioè quanto tempo spetta ad ogni umano. Qui si celebra la fragilità dell’uomo, la sottigliezza del filo che ne regge i gesti e i sogni è davanti ai nostri occhi. Basta una forbice arrugginita e tutto finisce. La forbice non è altro che la morte, l’ultima parte, indissolubilmente legata alle altre. L’ultimo tassello che va a chiudere il cerchio sono io, Atropo. Ebbene sì, è sulle mie spalle il fardello di essere odiata, evitata, condannata. Ho maledetto a lungo il destino per avermi affidato questo compito. Urlavo, mi strappavo i capelli, fuggivo. Soffrivo nel dover stroncare senza pietà ciò che avevo visto nascere e crescere. Soffrivo della caducità di quei piccoli capolavori, mi sembrava ingiusto. Ogni filo è unico, speciale, importante, nonostante sia solo una piccola parte dell’universo. Poi però ho capito che noi Moire non siamo delle carnefici, non siamo burattinaie. Siamo le custodi della vita, il simbolo di come tutte le cose siano collegate, di come ogni decisione influisca su tutte le altre, di come ogni attimo sia fondamentale. Se mi fossi rifiutata, cosa sarebbe stato del ciclo eterno? Così sono cresciuta, sono rimasta. La verità, però, è che ogni volta mi m’innamoro del ricamo che è la vita, e ad ogni taglio muoio un po’ anch’io.
Ecco che Lachesi mi guarda. Mi avvicino. Passo dopo passo le forbici diventano sempre più pesanti. Poso le lame sul filo, un colpo netto, poi più nulla.