Il mercante di luce

Sior patrizio, prego avvicinatevi.

Son Chéco della Spinalonga, un umile codega, la vostra guida, il vostro faro in questa notte di tenebra.

Giacché vi vedo piuttosto spaesato, illustrissimo, solo do miseri marchetti vi chiedo per porre la mia lanterna a lo vostro servizio.

Ve ne prego, non ne abbiate a male se attraverso le coltri notturne non riconoscete il profilo della città natia, io sono qui per guidare il vostro passo incerto.

Ora zo per la caleta vi porto, seguite il lume e non smarrirete la via.

Fidatevi della perizia di questo misero nocchiero di terra, sono àni anòri che traghetto e guido i corpi marchiati dalle delizie dei banchetti per gli stretti rami, le cortesele e i sotoporteghi a voi ora così inconsueti, che squadrate stropicciando gli occhi come se li rimiraste per la prima volta.

Così come il vostro volto è fasciato dalla larva le notti che precedono le ceneri, anche Venésia, la sera, indossa una gentile moretta di velluto nero, che la rende estranea a coloro che non sono avvezzi a spostarsi nel drappo scuro delle prime ore del giorno.

Vedete Sior, com’è cheto il campo del mercato privato dell’acuto schiamazzare delle revendigole?

Par di passeggiare sul vergine fondale di un pozzo scuro e silenzioso; solo il rintocco dei flutti che mordono le fondamenta desta le menti intorpidite dalla suggestione.

Al morire del sol cala l’incanto sulla laguna, ella, capricciosa domina, si riappropria dei suoi possedimenti.

L’acqua avanza trasportando antiche essenze e dolci melodie che turbano i sensi. Nel dedalo di callette risuona come il canto di una sirena il richiamo degli stormi di folaghe e cormorani appollaiati sulle bricole, e per un attimo pare di avvertire l’aroma della dolce fiorella di barena soverchiare il sedimento di liquame che riveste il selciato.

Di acqua è saturo il cielo che in essa si specchia, smuove le aguzze chiglie di gondole e barchete, reclama in gorghi verdastri le inermi prede sprovviste di foco che osano un passo di troppo sul ciglio del rio. Le sue insidie sono intriganti quanto pericolose, ma la fiammella della mia lucerna incrina il sortilegio e permette a voi, mio blasonato ramingo, di riconoscere la vostra preziosa alcova tra le tante ombre informi.

Per lei ze ora di andar a pagiòn con la pellaccia al suo posto, per me quella di congedarmi prima che il dì giunga. Attenderò qui sul ciglio del canale, un pallido faro che richiama a sé gli erranti perduti, smarriti per le corvine arterie della città.