Il paradigma del terzo incomodo

Piero Angela parla ormai da due ore, trovando ancora la forza di esaltarsi per quell’antico vaso Ming mentre tu, tuo malgrado, sei diventato il massimo esperto nazionale di storia antica.
Perché è sabato sera, e come al solito lo passi a guardare SuperQuark. Il motivo, sempre quello.
Tutte, ma tutte le tue amiche, il sabato sera lo consacrano al moroso, e tu…beh, sei il parìa della situazione, costretto a stare a casa per non dover fare da terzo incomodo.
Perché diciamocelo: andare a locali da solo è una cosa che fai se li devi recensire per la Lonely Planet. Quanto a provare ad attaccare bottone (o preferibilmente sbottonare) qualche bel tipo, anche qui siamo costretti ad ammettere a noi stessi che chiunque necessita di una “spalla”.
Così resti lì a farti mille domande, pensando alla facilità con cui le tue amiche hanno preferito abbandonarti a casa da solo non appena hanno incontrato qualcuno con cui accoppiarsi (in senso fisico e metaforico).
Il problema è che se non si sta attenti si rischia di farsi coinvolgere talmente tanto da una relazione da dimenticare cosa significa in realtà stare insieme a una persona: non si tratta di diventare una cosa sola, ma di condividere tutto ciò che siamo con qualcuno che per noi è speciale, senza per questo rinunciare alla nostra identità individuale, senza fondere irrimediabilmente le proprie personalità come Superman e Clark Kent. Bisogna essere un po’ più come Batman e Robin. Altrimenti appena qualcosa va storto e il legame si rompe, ci si ritrova spiazzati e vuoti, perché non sappiamo più chi siamo e cosa cerchiamo.
Quello che il Manzoni non ci ha detto, è che gli amici di Renzo, quella sera al bar, quando Renzo gli raccontò dei bravi e di come gli intimarono che “questo matrimonio non s’ha da fare”, esultarono. E offrirono da bere a tutti.

(di Alice Barlassina)