La Cella – La Trilogia delle Finestre e dell’Ozio

Inspiro, espiro. Guardo il soffitto e conto le crepe, per non pensare. Poi mi sollevo: inspiro, espiro e sto già annoiandomi a respirare. Ancora non penso, eppure mi accorgo che sto per pensare, almeno al pensare di star pensando.

Essere me è drammatico.

Lo sarebbe per chiunque, lo capisco, ho reso il mio corpo una putrida cella color marroncino sbiadito.

Mi sollevo in piedi: inspiro, espiro. Sono concentrata: eseguo le poche azioni che mi servono per essere lei, quella che tutti vorrebbero che io fossi. Doccia veloce, colazione sana e nutriente, vestito elegante e professionale, trucco semplice ma curato: anche oggi dovrò mentire tutta la giornata.

Metto la maschera, esco dalla porta di casa, saluto il portiere e salgo sulla macchina nera che mi aspetta davanti casa. So che dal momento in cui metterò piede fuori da quella macchina non sarò più io. Dovrò recitare la mia parte, anche quando mia madre mi chiamerà; le dirò quanto sto bene e le racconterò un aneddoto, magari realmente accaduto, ma che non potrei che considerare distante dalla mia persona, inutile, superfluo. Seguo il mio copione.

Soltanto quando torno a casa, la sera tardi, piango.

Cosi ho conosciuto Leo, era il mio psicologo, scopa da Dio.

Era come quella luce che entra dalle sbarre, della quale puoi apprezzare il calore, se, immobile, chiudi gli occhi e focalizzi la tua attenzione sulla cute più sensibile del viso.

Dovevo saperlo, che sarebbe andato troppo in fondo, che avrebbe scavato dentro di me fino a trovarmi.

Non solo mi salvò professionalmente ed emotivamente, cambiò radicalmente la mia vita.

Ci innamorammo, e tutto era spontaneo e fantastico, anche parlare al telefono con mia Madre cambiò, era come se mi avessero ritrovata.

Fino a quando non fui io a trovare lui, a letto con Sarah. Era lì, su di lei, che ansimava, sudaticcio e virile, mentre lei urlava, con quella sua vocina stridula, strega.

Inspiro, espiro. Guardo il soffitto e conto le crepe, per non pensare. Poi mi sollevo: inspiro, espiro e sto già annoiandomi a respirare. Ancora non penso, eppure mi accorgo che sto per pensare, almeno pensare di star pensando.

Essere me è drammatico.

Lo sarebbe per chiunque, lo capisco, chiusa per sempre in una putrida cella color marroncino sbiadito.