Mille e una notte

Piacere, mi chiamo Fatimah. Sono ormai novecentodieci giorni che sono in viaggio. Non sono io a contare l’altalena del sole e della luna, ma mio figlio, Nasir. Su un piccolo quadernino da cui non si riesce mai a staccare lui traccia una spessa linea a metà di ogni pagina. Accanto ad essa, con la grafia ancora incerta di un bambino di 8 anni, annota una serie di lettere che vanno a comporre i titoli delle storie che ogni notte gli racconto. A Lagos, in Nigeria, da dove siamo partiti, ero insegnante di letteratura alle scuole superiori.
Per me la cultura era, e tutt’ora è, l’unico strumento che permetta di liberare una persona dall’opprimente ignoranza di chi preferisce la frusta ad un fiore per sedurre una donna e la forza alla fiducia per conquistare un popolo.
Per fortuna, mio marito Tahir non è come quegli uomini. Fu proprio però per questo modo indipendente di pensare che decidemmo di partire. Quando i salafiti iniziarono a prendere il sopravvento nel nord del Paese, mio marito ed io sapevamo quale sarebbe stata la nostra sorte nel caso mai ci avessero trovato. Lui ha un fratello in Francia e abbiamo pensato di raggiungerlo.
Ricevendo ospitalità da amici e parenti, siamo giunti alle propaggini del Sahara. Avanzando giorno dopo giorno con la sabbia che bruciava gli occhi e i fendenti di sole che ardevano sulla nostre pelle, abbiamo visto compagni di viaggio accasciarsi stremati e, senza più un filo d’acqua in corpo, lasciare che la polvere d’oro coprisse le loro membra.
Ringrazio Dio per averci fatto sopravvivere a quell’inferno sulla terra. Una volta entrati in Libia, però, scoprimmo che il deserto è solo l’anticamera degli inferi. Violenze, stupri, percosse e denutrizione sono solo alcune delle piaghe che stiamo subendo nelle prigioni di Soroman.
È quando siamo arrivati qui circa sei mesi fa che ho iniziato a scrivere questo racconto della mia vita. Vedo mio marito solo la sera, ogni volta con lividi che prima non c’erano. Dice che ha trovato una nave con cui partire per Lampedusa. Non so cosa chiedano in cambio di un passaggio oltre ai soldi, ma dai racconti di altre donne posso immaginare cosa mi attenderà.
Spero solo di partire presto perché di carne incolume ne è rimasta poca, di storie da raccontare non ne sono rimaste molte, il quaderno di Nasir è quasi finito e non voglio che lui smetta di sognare una vita migliore.

(di Pietro Sutter)