My Minotauro

Per dieci lunghi anni ho amato un Minotauro. Sui titoli di coda lui
renderizzò il tutto a qualche settimana o poco più. È del Minotauro
fingere di dimenticare, fa parte del suo istinto. Ci conoscemmo a un
corso di teatro, disse che voleva tentare questa cosa dell’attore. Di tutto
mi innamorarono gli occhi. E il petto. Parlava dilatando le vocali, alcune
parole pronunciate diventavano un raglio di dolore. Parlò perciò poco.
Decise di fotografare. A teatro ci tornava solo per vedere me. Non l’ho
mai soddisfatto con il vino. Cucinava bene e trovò seducente il mio
modo di mangiare. Per il nostro sesto anniversario di fidanzamento lo
portai a Parigi. Si fissò con una radio francese che trasmetteva solo
musica jazz, continuammo ad ascoltarla anche quando tornammo a
casa.

Mi regalò un collare d’argento simile al suo per segnalare la nostra
appartenenza. Mi amò con ingordigia, procurandosi sempre di tenere in
ordine le unghie per non graffiarmi a sangue. Lo convinsi anche a
tentare una ceretta. Si carezzò la pelle liscia, si piacque e diventò
vanesio. Soltanto a me mancò la sua pelliccia. Si illuse d’essere uomo
perché privo della coltre anche altre donne iniziarono a desiderarlo.
Riprese a fare sogni scomposti, come quelli che faceva da bambino.
Uscì senza di me, si fece degli amici e partorì segreti. Si prese d’odio
per un vecchio drammaturgo malato che mi scriveva anche di notte.
«Ma Mino – gli dissi – io amo solo te».

Tornò a Parigi da solo, per inseguire una rana francese che tentava
questa cosa dell’attore pure lei. Quando rientrò lo attesi alla stazione
Tiburtina, mi baciò e pianse. Qualche ora dopo ci ritrovammo a letto
nudi; cercava branchie, chiedeva baci dalla lingua bifida, voleva lo
guardassi con occhi sporgenti. Non seppi accontentarlo. Qualche mese
dopo si risolse a confessarmi che non aveva più senso per lui stare con
una donna che è una attrice sì, ma incapace a recitare la parte di una
rana. «Non c’era tutta una pedagogia dell’animalità a teatro scusa? Teatro di ricerca un par di palle se poi finisce tutto a cani, gatti,
scimmiette e pulcini», si annoiava.

Se ne andò ad inizio primavera accusandomi di sterilità. Mi restano di
lui alcuni miei ritratti e le bozze di un progetto fotografico sullo
zoomorfismo cui stavamo lavorando, mitologia d’interni. L’ultima
immagine che ho del mio Minotauro, nella cornice della porta di casa,
sono le sue spalle grosse, il profilo sinistro del volto, la coda
abbracciata alla gamba destra.

È da due anni che non ho più sue notizie. Ma nell’estate seguita a
quella primavera La Tribuna pubblicò l’articolo, con tanto di fotografie, di
un Minotauro steso al sole dei Murazzi di Venezia Lido. Sembra sia
entrato in acqua verso mezzogiorno. Pare sia diventato un pesce.