Pic Nic Rituale

Si spoglia, strato dopo strato. Toglie la maglia, sfila i calzini, appoggia i denim sul prato. Scosceso, come il dolce colle di lei. Bagnato, come il dolce colle di lei.

Lui la guarda, prende un’arancia, la sbuccia, la ciuccia, la spreme sulla pancia di lei che ne prende uno spicchio, lo osserva bene, coprendosi un occhio.

Lui, intanto, succhia il succo d’arancia dal ventre di lei, leccando bene l’ombelico e nel mentre dal cesto tira fuori anche un fico.

Con la lingua lui scende lungo il dolce colle, rivoli di succo scivolano sulla sua pelle. Il succo d’arancia si mischia al nettare di lei, è un frappè d’umore, è la bevanda degli dei. Ha il sapore di sudore e lui vi unisce le more, lei geme di piacere, ma un poco di dolore.

L’intenso odore contrasta il candore della pelle di lei costellata di nei, gocce di cioccolato in un impasto immacolato, pezzettini di brownies nel latte scremato.

Come un bimbo tutto sporco che mangia marmellata, con le mani lui si pulisce la bocca bagnata. E con le mani poi la afferra, stringendola a terra, sposta il peso da una parte, in una lotta, una guerra.

Sembra un ballo o forse è un tango, una lotta dentro al fango. Dal cestello prende un mango, lo schiaccia, lo spezzetta, nelle sue mani sembra pongo; lo manipola, lo affetta, su quel corpo bianco e lungo.

È una macedonia erotica, un po’ fuori stagione, una commistione atipica, una sacra libagione.