Rum, fango e sangue

La guerra è una contraddizione.
Cartelloni, programmi televisivi, interviste alla radio, convincente propaganda. Mesi di addestramento – corse flessioni, piegamenti, sudore, lacrime, sfinimento – un treno su cui salire come bestiame al macello. Arrivare in campi sporchi, trincee costruite con sangue e sudore, cadaveri, pezzi di cadaveri, topi che mangiano cadaveri. L’odore è forte, odore di gioventù in putrefazione, di rum che annega la coscienza di quello che si è visto. I compagni mutilati, esausti.
Rumori. Rumori spaventosi come sveglia e come bacio della buonanotte. La vita in trincea non è un incubo da cui si scappa svegliandosi con un pizzicotto. Si è svegli, carcasse che camminano, che si trascinano a ritmo di granate, fucili e grida disperate. Si è morti ancora prima di esserlo veramente. Fame, sete, voglia di raccontare questi orrori a orecchi lontani; forse troppo lontani per capire.
A volte arrivano poster, gli stessi che guardano gli occhi ansiosi o distratti di figli, mogli, madri di guerra. Entusiastici inviti a partire, ad arruolarsi, a morire per il proprio paese, promesse di fama, gloria.
In trincea sono tutti fratelli, vecchi, ragazzi, poveri, ricchi, non fa differenza. Si è tutti parte di un unico organismo, di un grande corpo. Un corpo stanco, assonnato, zoppo, che sopravvive all’ombra della morte; un corpo che combatte un nemico indefinito come la nebbia che gli offusca gli occhi.
Alcuni scrivono. Urla disperate fra le righe di fogli stracciati. Implorano aiuto nel silenzio del loro inchiostro. Alternano parole a vani tentativi di scacciare pidocchi, insetti, bestie che cercano di succhiare loro quel che resta di vita. Altri dipingono con pennelli incrostati di dolore e pietà.
Fra le trincee c’ è un pezzo di terra deserta, solo polvere e resti di corpi. Gli unici passi che sente sopra di se sono quelli di ratti, sudici ratti neri che, incuranti, calpestano volti, gambe, braccia, speranze.
La guerra è un’ubriacatura, è patriottismo in difesa di falsi valori che mascherano l’ingordigia di panciuti e incapaci ufficiali che guardano eserciti morire sotto i loro occhi impassibili, come fossero pedine catturate nella grande scacchiera delle potenze mondiali.
La guerra è il mezzo più potente per far sentire l’uomo un uomo, per dargli dignità, coscienza dell’insensatezza dell’inutile strage del fiore della gioventù.
La guerra è morte, la guerra è vita.

(di Francesca Pan)