Uniformato antisociale

La campana squilla ed io mi ritrovo rigurgitato nella sudicia pietra grigia di via Po, spalmato su una colonna da un plotone di passanti indispettiti. La 24 ore è a terra, il tabacco mescolato alla polvere sedimentata sul marciapiede.
“Fottuti bastardi, la mia sigaretta!”, impreco a denti stretti slacciandomi il nodo della cravatta. “Tanto fa male! Meglio così, per il tuo bene”, gracchia di rimando una nonnina curva sul suo girello. Le sorrido: “Già, anche l’eutanasia sarebbe una soluzione ideale, per il tuo bene”. Non mi avranno mai. Questa frase mi martella le tempie mentre con un gesto meccanico dettato dalla pura necessità strappo un ciuffo di erbaccia che timidamente si affaccia da una crepa del cemento. Trituro le foglie con i polpastrelli e le avvolgo in una cartina. La combustione genera un fumo intenso che si spande sino ad avvolgere i portici e i passanti. Il sapore è acido, racchiude in sé l’essenza del disagio urbano; suola di scarpe, smog, urina di cane. Gli aromi come eroina in vena penentrano la barriera ematoencefalica squassandomi il cervello. Vengo sbalzato nel passato, quando ancora la signorina di Neffa non era che una cassa martoriata da un incalzante quattro quarti. Dalle coltri generate dal fumo appaiono orde di bizzarri figuri dai capelli arruffati, avvolti in giacche di pelle tintinnanti. Guardano la mia divisa con disprezzo e superiorità, eppure scappano con la cresta tra le gambe non appena l’angolo della mia valigia fa saltare due incisivi al primo capitato a tiro. Li saluto da lontano sventolando il dito medio. Mi concedo ancora due tiri, dopodiché getto la sigaretta nel tombino. Il fumo si dirada lasciando il posto alla brulicante folla che popola la via. Mi tuffo nella ressa rispondendo alla calca con calci e gomitate. Finalmente la mia spalla urta qualcosa; il malcapitato rotola centrando in pieno una colonna. Mi allontano rapidamente ghignando soddisfatto nell’udire in lontananza gridare: “Bastardi maledetti, la mia sigaretta!”.