3×3

Un, due, tre, muro. Un, due, tre, muro. Sandro è già stanco di girare come una scimmia in gabbia, si arrampica al terzo piano del letto a castello e studia per l’ennesima volta il reticolo di crepe sul soffitto scalcinato. Sono le tre del pomeriggio, il secondo e ultimo turno d’aria della giornata è appena finito: tirava un vento boia di fuori, ma almeno ha infilato due gol a quel somaro della sezione transito, è tornato dentro masticando un rosario di bestemmie.

Le giornate si stanno allungando, la sera non arriva mai e Sandro dà un paio di pedate all’aria per sopire i crampi ai polpacci. Per fortuna, quel pomeriggio è prevista l’uscita di lavoro alle docce: un paio di box sbrodolano appena un rigagnolo d’acqua calcarea e hanno bisogno di una bella sistemata. Se riusciranno a finire prima di cena, la mattina dopo si potrà finalmente tinteggiare, sperando in una giornata ariosa e soleggiata.

Doppia fortuna, questa sera la cella di Sandro è tra le prime ad essere servite dal carrellino del pasto; i turni vengono invertiti ogni giorno, le porzioni non bastano per tutto il braccio ma così si sopporta un po’ ciascuno. L’aria è pesante, Sandro aspetta seduto che i suoi due compagni si cambino per la notte e si sistemino: quando c’è bisogno di aprire le ante dell’armadio, come in quel momento, diventa complicato muoversi tutti in nove metri quadrati. Con un sospiro Sandro si gira su un fianco, domattina alle otto la moglie viene in visita prima di andare a lavoro; una scadenza per volta, passerà anche domani.

L’8 gennaio 2013 la Corte Europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti delle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza; Sandro è uno degli aventi diritto ai 100mila euro di rimborso previsti per danni morali. La somma sarebbe stata forse più utile in fase preventiva, piuttosto che di risarcimento, ma questo non sta a me dirlo. Di sicuro, però, ogni persona ha diritto ad un “orizzonte privato”, o spazio vitale in situazione carceraria, di almeno tre metri quadrati, essendo quasi impossibile rispettare lo standard di sette proposto dal Comitato per la prevenzione della tortura.

Si tratta della seconda condanna inflitta all’Italia dall’Unione Europea per violazione dei diritti dei detenuti, dopo quella del 16 luglio 2009 nota come sentenza Sulejmanovic.

Questi e altri dati sono forniti dall’associazione Antigone, osservatorio permanente sulle morti in carcere.

 di Alice Securo