Conversazione sulla Guerra

“Accorrete gente! Accorrete! Questa sera in concerto per voi il grande Narciso! Accorrete! Affrettatevi! Il suo violino vi farà commuovere! SIGNORE, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ!” Ad Eva scappò un gridolino, gli occhi gonfi di lacrime per la commozione. Aveva dipinto per sei settimane la parete più lunga di una delle cinque stanze che avevano scelto, gusci vuoti con tre letti a castello lungo ciascun muro, la struttura di ferro, i materassi luridi. La luce delle lampade era giallastra e opaca. Ogni due ore doveva fermarsi per riposare gli occhi. Eva dipingeva anche di notte. Si concedeva una pausa di mezz’ora solo a pranzo e a cena, mangiando cibo in scatola e bevendo latte. “Farò per te il più bel pubblico che sia mai esistito” bisbigliava con fanciullesco accanimento, la fronte quasi attaccata alla parete. “Signore, sia fatta la tua volontà!” Anche Narciso aveva la sua stanza vuota. Prove ad intervalli regolari di due ore, il tempo di disegnare un paio di figure. Prima d’iniziare, uno sguardo alla botola d’acciaio, alle prese d’aria arrugginite, alle due porte corazzate a tenuta stagna. Sopra la sua testa venti metri di detriti, cadaveri, cemento armato, e l’inverno. Chiudeva gli occhi e pensava all’aria fresca, poi stringeva la bacchetta e iniziava a suonare. Vivevano in un rifugio sotterraneo e non restava loro molto tempo da vivere. La guerra era finita da mesi, ma loro non l’avrebbero mai saputo. Narciso era pronto per il suo primo concerto. In alto, nella fila centrale del pubblico, c’erano i più alti gradi dell’esercito. Il generale era al centro della parete, sigaro in bocca, un bicchiere di vino rosso in mano. La divisa verde acido era abbottonata fino al collo e le pieghe facevano pensare che fosse stata appena stirata. Ogni spettatore indossava un abito elegante, gioielli e foulard di seta. Eva aveva pensato anche al trucco e ai profumi, e, se si faceva attenzione, ogni disegno sembrava avere una patina di colore diversa a seconda della fragranza scelta. Erano le figure in basso a destra le preferite di Narciso: una donna con una bambina in braccio, gli occhi sgranati, il collo leggermente proteso in avanti. Sembrava che stessero per alzarsi e correre ad abbracciarlo. Eva aveva disegnato accanto a loro suo padre, un uomo anziano con la pelle del colore del latte, una ragnatela di rughe che scendeva dalla fronte al mento, pochi capelli bianchi. Li guardava con occhi compiaciuti e colmi di speranza, un accenno di sorriso sulle labbra. “Ora va’ a dormire, devi riposare. Domani sarà un grande giorno. Signore, sia fatta la tua volontà” bisbigliò Eva la notte prima del concerto, le mani callose che stropicciavano gli occhi stanchi. Lui le aveva preso tra le mani il viso ancora sporco di colore e l’aveva baciata proprio come quel giorno in infermeria, piano e a lungo. Eva disegnava e curava i soldati, portava sempre con sé i colori e disegnava tutto il giorno, alcune volte seduta, altre distesa per terra, la giovinezza dei corpi che vedeva morti davanti ai propri occhi. Quella notte avevano fatto l’amore distesi sul pavimento sotto il loro pubblico, e nel momento in cui l’orgasmo era esploso dentro di lei, Narciso pensò di non essere mai stato tanto felice in tutta la sua vita. La notte seguente, il concerto fu magnifico. Mentre fuori aveva appena smesso di piovere, il tempo ebbe un sussulto. Fra gli applausi degli astanti, ora ascoltate Narciso e quella musica che arriva al di là del cielo, proprio lì, dove c’è l’infinito.

di Alessandra Perna