Abusi territoriali

Costruire un edificio in cemento risulta particolarmente facile a livello ingegneristico, perché si tratta di far quadrare dei conti matematici che nascondono al loro interno elaborate speculazioni statistiche, ma forniscono un’interfaccia molto semplice per l’operatore. Chi si trovi alle prese col dimensionamento di un edificio in cemento armato dovrà calcolare i carichi presenti sulla struttura, bilanciarli tra loro in modo che nessuno prevalga rendendo il telaio instabile, e andare poi trave per trave, colonna per colonna e vedere se le dosi di armatura in ferro e la grandezza della gettata di cemento sono sufficienti a sopportare il peso di persone, arredamenti, impianti e quanto sia necessario a chi utilizzerà l’edificio costruito.
Come tutte le cose facili, anche la progettazione delle strutture ha un prezzo da pagare ed è la difficoltà di valutare i pericoli insiti nell’ambiente che sta attorno al luogo preposto alla costruzione. Troppo spesso l’uomo non ha compreso la natura e ne ha sottovalutato la forza; costruire gli edifici senza valutare i pericoli portati dall’ambiente circostante ha causato più di centosessanta vittime negli ultimi tredici anni in Italia, le ultime diciotto risalenti al novembre 2013.
L’estrema voglia di costruire in Italia ha insieme deturpato l’ambiente e messo in pericolo molte vite. L’esempio principe di questo meccanismo è l’alluvione di Messina del 2009 in cui bastò un evento di pioggia intenso e duraturo, ma non straordinario (a Messina costano cari la vicinanza delle montagne e il fatto di sorgere in riva alla congiunzione tra due mari, condizioni che ne fanno la città più piovosa dell’isola ed una delle più piovose d’Italia), a causare distaccamenti di blocchi rocciosi, colate di fango e detriti che hanno portato al tragico bilancio di trentuno morti e sei dispersi. L’Italia paga quindi a caro prezzo la sua passione per il cemento iniziata nel dopoguerra e fatica (o finge di faticare) a trovare una soluzione al problema.
Proprio in occasione del disastro di Messina, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sostenne che all’Italia servisse un piano per prevenire queste sciagure: richiesto del resto a più riprese anche da Legambiente che ha finanziato ricerche che hanno portato alla luce risultati imbarazzanti: il 77% dei comuni italiani ospita edifici costruiti in aree non edificabili poiché pericolose; sono 5581 i comuni a rischio idrogeologico: 1700 per frane, 1285 per alluvioni e 2596 per frane ed alluvioni insieme. La tendenza legislativa in Italia è storicamente quella del condono edilizio (tre i casi: 1985, 1994 e 2003; svariati i tentativi di condono negli ultimi anni, l’ultimo risale al 2013) mascherato da catalizzatore di soldi; gli esempi ci insegnano invece che i pochi spiccioli raccolti con i condoni fanno sorridere in confronto ai benefici tratti da chi si era costruito una casa a costo molto basso in una zona non edificabile. Per regolamentare c’è sempre tempo e sicuramente si deve rallentare la febbre da costruzione che ha colpito l’Italia circa settanta anni fa.
Non servono altre case, visto che ognuno di noi ha a disposizione in media circa sessantatré metri quadri di cemento costruito per scopi abitativi; serve piuttosto una rigida regolamentazione che indichi come si può rispettare l’ambiente ed il rapporto dell’uomo con esso.

(di Matteo Facchini)