Antifaschistischer Schutzwall

Il secchio sbatte sordo a terra. Vernice rossa fuoriesce, lieve, schizzando vestiti. Intorno, nessuno.
Stropiccio gli occhi. Nero eterno che penetra.
È notte, qui.

Setole furtive annegano in sangue sintetico, rapide le dirigo contro il grigio, freddo, che mi osserva, austero e taciturno. Nemmeno lui voleva starsene qui, al freddo, a coprirsi di morte, la notte.
L’empatia del cemento mi assale. Mi distrugge il pensiero che anche le cose possano pensare.

Basico frammento mentale.
Coloro di rosso sovietico una gelida porzione quadrangolare. Disegno un sorriso sbilenco, squallido.
Le cose pensano,
le cose sorridono.

Getto via il pennello, lo rincorre una scia di rossa vernice presagio. Mi volto, spalle al muro, rido istericamente. Lune artificiali mi graffiano, molteplici.
Buio.

Mi volto ancora, cuore rosso contro vernice rossa, bagnata. Mi macchio. Mi aggrappo. Una mano, un piede, poco alla volta. Dopo quasi quattro metri, ci sono. Rido, innalzandomi, schienando ossigeno duro che sa di smog. Sono in piedi, circa quattro metri di materia mi elevano.
Terrore infetta l’aria.
D’improvviso, in silenzio.
Piombo assassino. Lo sapevo. Non ho nemmeno il tempo di poggiare una patriottica mano sul cuore diviso a metà, che rivoli di rosso sanguigno colano. Sangue zero. Tutti lo possono raccogliere. Vernice misto sangue. Il mio ultimo affresco. Pulsioni da morte prematura. Sto crepando, mano sul cuore, dissapori anacronistici. Ultima cosa che vedo prima che mi si annebbi la vista, luna capitalista che sogghigna, dall’altra parte.
Nell’altro cielo.

Sono il numero 133, ennesima vittima di un massacro legalizzato.
Sono il numero 133, e a breve sbatterò la faccia nella Striscia della Morte.
Sono il numero 133, e non me ne pento affatto.
Sono il numero 133 che cade

come corpo morto cade.

(di Nathalie Antonello)