Ava

La location dello shooting è la Sala dei Mille Specchi, gioiello settecentesco del fiammingo Chateau Marlon. Ava May, sdraiata sul pouf di raso carminio, allunga la mano verso il pavone che zampetta lento al suo fianco, spaesato dal parquet di rovere e innervosito dai mille cloni da cui si vede circondato. La top model sfiora gli occhielli che adornano le penne del volatile; lo fa con unghie laccate di acrilico nero, terminali erotici di mani allungate, rapaci. Intorno alla coppia ruota senza sosta, come uno squalo vorace, Michel il fotografo. Scatta a ripetizione, un flash dopo l’altro. Ava dice «Gisele?». Ma non lo chiede a Michel, né al truccatore, né al suo agente. Lo specchio principale della sala scruta con interesse la regina del glam: strega per metà del mondo modaiolo, puttana arrivista dal cuore marcio per la restante fetta. Lei alza sulla fronte le lenti scure Louis Vuitton, poi infila le dita nei capelli; inclina il capo, si lecca le labbra con la punta della lingua, porta il seno in fuori. «La Shayk?». Nella sala si odono soltanto due suoni: i clic di Michel e il ticchettio dei piccoli artigli del pavone sul pavimento di legno. «La Klum?». In basso, sotto alla gonna vaporosa di Armani, Ava percepisce un brivido caldo; non si sorprende, perché non è la prima volta che le si bagnano i canali quando ammira il riflesso di se stessa: Narcisa-regina delle sfilate del nuovo millennio. Con la coda dell’occhio, Ava coglie un movimento sulla destra. È l’addetta stampa dell’agenzia; si avvicina di soppiatto al fotografo e poi gli sussurra qualcosa all’orecchio. Si ode chiaramente soltanto una parola: ritardo. Ava s’alza di scatto a sedere, lasciando che la spallina dell’abito scivoli al di là del precipizio della spalla. A seno scoperto, scoppia a ridere di gusto, diavolo che non vestirebbe la merda che Prada confeziona per nulla al mondo. La risata blocca i flash, il pavone e la ragazza; Ava – unico essere in movimento nel mondo congelato dalla sua superiorità – esamina la smunta, finta-anoressica, prêt-à-porter e insignificante donnicciola che schiaccerebbe volentieri sotto a un tacco 12 facendo forza col tallone per spegnere ogni scintilla di fiducia in quel mozzicone umano e nel frattempo slanciarsi col movimento rotatorio del complesso gamba-bacino in una posa che la consegni alla storia per apoteosi, per annichilimento di ogni rivale sopra e sotto alla passerella, per manifesta superiorità delle sue membra mozzafiato, cervello spietato compreso.