Ce l’aveva portata

Noi, davanti a quel muro della scuola, che tra una decina di ore avremmo costernato per la pausa di metà mattinata; mentre tutti gli altri avrebbero consumato panini e giocato a pokémon noi, al contrario dei più, avremo pianificato un’altra sera come quella che stavamo consumando. Matteo ce l’aveva portata pochi minuti fa, col suo scooter. Lui già in quarta, bocciato due volte, avanti con gli anni, l’aveva portata. Avevamo fatto colletta di classe. I più sopratutto, quelli pronti a testarla. Alla prima vera esperienza, ancora con i brufoli e i primi peli matti in faccia. È buona ci aveva già detto qualche giorno prima. Noi ci avevamo creduto. L’avevamo contattato tramite un passa parola. Gente come lui, quasi alla fine delle superiori, è difficile da raggiungere. Saremo stati come Matteo, tra non molto: eterni nullafacenti in attesa di emozioni. Benché fosse arrivato in ritardo di dieci minuti, avevamo pazientato. Lo scambio fu fatto velocemente. Per noi sarebbe stato il primo e di una lunga serie, speravamo. Gli demmo la nostra busta, lui ci diete la sua. Poi se ne andò nel buio in cui era giunto. La aprimmo per vederne il contenuto. Luccicava di bellezza e sopratutto c’era tutta. Almeno così ci sembrò. I giorni futuri sarebbero trascorsi sereni. Poi una luce attirò la nostra attenzione, tutti aggrappati alla busta, vedemmo scorrere una volante. Ci sentimmo dei pesci in una rete, per un momento, poi ognuno scappò verso una direzione diversa. La busta rimase a terra e la notte ci colpì. L’anno seguente, ognuno dalla propria finestra sbarrata, mentre il sole brucia in una primavera che sembra maledetta, alla stessa ora di quell’evento, osserva il cielo, cercando una risposta a quel luogo chiuso che dovrebbe riformarli, ma con un pensiero chiaro nella mente: di non voler assolutamente cambiare. Avrei voluto dirvelo in anticipo amici. Pure io, da questa stanza stretta, di ripensamenti non ho mai voluto averne, perché c’è sempre una prima volta, dicono, anche nel sbagliare, anche nel provare e rischiare la reputazione, la vita, la dignità e ogni cosa desiderata, ma con la convinzione di averci almeno provato.
Chissà come ci si sarebbe sentiti poi, senza riuscire ad incorniciare in nessun modo l’immagine fumosa che da tempo aveva già occupato il mio tempo e le mie fatiche, senza curarsi di assumere forma alcuna. Sarebbe stato simile al sapore delle prime fragole, alla schiena appoggiata a una parete all’ombra, porto sicuro per l’aria greve di quei giorni di sole. Potevo percepire l’aritmia dei battiti e l’aria farsi pesante; regredire non era un’opzione già da tempo oramai. Avrei voluto dirtelo prima credimi, prima che comunicare diventasse uno strano rebus da sbrogliare, prima dei ripensamenti delle dieci di sera, prima di noi. Noi, di prima. 1a D.