Chi ha il pane non ha i denti

Il presidente della società stava assaggiando con malcelata imperizia un Barbaresco del 2006. La direttrice generale era impegnata a spostare, senza dare nell’occhio, la cucitura delle calze di seta che si era andata a incastrare tra il perizoma e una natica. Il consulente fiscale digeriva a bocca chiusa, sperando che le luci soffuse e le pareti ovattate del ristorante attutissero l’evidenza di quel rigurgito. Nel silenzio, tuttavia, fu un altro suono ad attirare l’attenzione dei commensali. Come una perla sulla porcellana. Così, tintinnò sul bordo del piatto, l’incisivo sinistro superiore dell’amministratore delegato, che fece appena in tempo a portarsi il tovagliolo alla bocca, mentre il sangue sgorgava a fiotti, sui polsini della camicia, sul cinghino del Vacheron Costantin, sul filetto al tartufo appena assaggiato. Fu proprio un episodio spiacevole, quando A.B. perse il suo primo dente a causa della piorrea («O parodondite da stress» sentenziò il medico, due giorni dopo). Fu spiacevole leggere il disgusto negli occhi dei colleghi. Svizzeri, gente che faceva pilates ogni mattina per scaricare lo stress. Gente che non barava nella raccolta differenziata.

Seduto su una sedia di truciolato e tubolare di ferro, nella stanza squadrata della cella dove si trovava in attesa di giudizio, ad A.B. tornò alla mente quella serata. Si trovava lì dentro perché un martedì, tornando a casa, venne accolto all’ingresso da una fragranza insolita: la moglie, ovviamente bionda, ovviamente magra, ovviamente bravissima a fare pompini, aveva acquistato per 350 euro un elettrodomestico per fare il pane. Ed era in piedi, appoggiata allo stipite della porta, con la pelle del viso profumata di acido ialorunico, e mezzo chilo di focaccia ai cereali mostrata come un trofeo. Immemore che il padre dei suoi (tre) figli non avrebbe potuto neppure assaggiarla. A causa della piorrea da stress. Ormai le sue gengive non reggevano più. Poteva sopportare solo centrifughe. E Martini. Per questo iniziò a colpirla. A sfregiarla. Con quello che aveva sottomano. La valigetta del pc. Il portachiavi della Bmw. La statuetta della potnia greca, abbandonata da anni sulla stessa mensola. In cucina, i bambini, erano seduti a tavola. Scartavano il bordo bruciato del pane fatto in casa e mangiavano la mollica, chiedendosi cosa fosse quel rumore sordo. Il rumore che fa l’ossidiana quando sfonda il cranio di un essere umano.

di Giulia Mietta