Ciò che ti da una bici

Ferrara, estate 2011. Vedo una fila interminabile di bici impilate, decine e decine tutte addossate alle colonne di un sottoportico; sono illuminate dai raggi del sole quasi fossero sotto i riflettori di un palcoscenico. Mi fermo, non resisto, scatto una foto. “Ma cosa ci vedrà mai?”, si chiedono probabilmente i passanti.

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Avete mai osservato l’ombra di una bicicletta sull’asfalto? Io sì. La sagoma scura che appare in contrasto sulla superficie color antracite ne mette in evidenza anche i dettagli minimi, particolari che, pur avendo sempre avuto una bici sin dai tempi del triciclo, non notiamo mai davvero. Manubrio e telaio appaiono come non li avevamo mai visti, nuova anche la sella, nuovi i pedali, le ruote e ogni singolo raggio; definiti dalla luce, si stagliano al suolo come proiettati da quella meravigliosa macchina che è la bicicletta.

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Ore 7:12: “No, no e ancora no!” oramai sveglia, mi ribello comunque, non intendo abbandonare quelle coperte prima che siano le … sette e sedici. Poi, giunta l’ora fatidica, mi decido ad alzarmi e a prepararmi a uscire. Ci impiego, secondo più secondo meno, tredici minuti come al solito; faccio colazione in un quarto d’ora, come sempre; e mentre scendo le scale di casa, a mente, verifico i calcoli già fatti e rifatti, quotidianamente: “Sette e cinquantadue e sto uscendo di casa, sette e cinquantacinque e mi metto a cavallo della mia mountain bike e in un sessanta, settanta secondi raggiungo sfrecciando la fermata dell’autobus”. Così facendo, arrivo alle otto e cinque, puntualmente, due minuti prima del bus che mi porta a lavoro. Tutto regolare ergo, fino a che non mi accorgo che la mia bici non c’è. “Merda! L’ho perso!”

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Se fossi una bicicletta sarei sicuramente una Graziella di quelle con cui si spostano generalmente le signore anziane, col cestino e il porta pacchi in tinta. Di quelle ormai vecchie, ma che sembrano sempre nuove per quanto sono state usate con cura.

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Bicicletta: ne avete colto l’essenza? Beh, provateci! Proviamoci!

Facciamolo innanzitutto osservando con più attenzione, la bellezza, l’eleganza, la capacità tecnica e i meccanismi con cui si azionano gli innumerevoli apparecchi di cui facciamo uso durante il giorno. Anche se con occhi inesperti, facendo caso a ciò che lo manda avanti, apprezzeremo maggiormente il mondo che ci circonda.

Fermiamoci a pensare e a rendere grazie al Signor De Sivrac ed al Signor K.F. Drais von Sauerbronn, che ci hanno permesso di avere un veicolo su due ruote che azionato dallo sforzo muscolare delle nostre gambe ci fa percorrere, in equilibrio, brevi o lunghe distanze ad una velocità media di circa 20 km/h.

Dimentichiamo la macchina nel garage in cambio di una sana pedalata per una volta. E se fa troppo freddo, oppure dobbiamo andare troppo lontano, allora ricicliamo! Ricicliamo anche un passaggio in auto chiedendo al vicino, al collega di lavoro o al genitore di un compagno di scuola di nostro figlio se ci da uno strappo, o se ne vuole uno lui.

Lasciamo stare tapis roulant e cyclette in palestra se abbiamo il privilegio di poter salire in sella a un altro congegno che mantenendoci in allenamento ci fa, allo stesso tempo, godere di un panorama unico, quello delle strade della nostra città, delle viuzze del nostro paesino, delle piazze, dei campi.

Pedaliamo, insomma! Pedaliamo per restare in forma. Pedaliamo per il gusto di pedalare. Pedaliamo, anche se ci costa fatica. Pedaliamo in gruppo, da soli, in coppia, con nostro figlio. Pedaliamo lungo la spiaggia e in montagna, in salita, discesa e sui sassi. Pedaliamo per andare dove dobbiamo andare. Pedaliamo senza meta. Pedaliamo col sole sugli occhi. Pedaliamo anche sotto la pioggia!

E’ solo così che non lo scorderemo mai.

(di Sampong Paola Nadia)