Comunicato Stampa

Dopo due anni, voltandoci indietro, abbiamo cercato di percorrere a ritroso tutte le scelte fatte e che ci hanno portato a costruire il magazine come lo vedete ora. Ci siamo resi conto di come, paradossalmente, l’idea fresca e ingenua che ci ha stimolato a creare Lahar e che ha trovato riscontro in molti lettori e simpatizzanti negli ultimi due anni ci stesse portando in una posizione di stallo. Stallo che non ci potevamo permettere, stallo che avrebbe significato perdere il motivo scatenante del progetto Lahar, nato in quelle notti ricche di sigarette e birre in cui le discussioni ondeggiavano fino ad eruttare dalle nostre menti.

In questi due anni abbiamo provato, con risultati senz’altro soddisfacenti, a sollecitare le eruzioni mentali di chiunque fosse disposto a mettersi in gioco e a raccoglierle tra le pieghe della rivista. Crediamo che sia questo che ci differenzia da altri magazine, molti dei quali veramente ottimi, del panorama indipendente. L’esame di coscienza sui nostri due meravigliosi primi anni ha portato a questa conclusione: essere aperti verso l’esterno è stato il nostro punto di forza. Abbiamo quindi pensato di continuare per questa strada, portandola all’estremo.

Il lavoro si è spinto allora su un campo più “pragmatico”, con una riqualificazione degli spazi nella versione cartacea per poter ospitare un maggior numero di articoli, dato l’aumento continuo dei contributi che arrivano in redazione e la loro crescita anche qualitativa. Ma come coltivare e qualificare ulteriormente tutte le persone interessate a mettere nero su bianco le loro idee? Attraverso incontri redazionali aperti, sempre più aperti vogliamo puntare a mettere in posizione dominante l’attività collaborativa; la “redazione” deve essere diffusa e sempre più porosa, aperta verso novità, avanguardie e commistioni.

Lahar Magazine deve diventare la punta di diamante di un progetto più ampio, la creazione di una comunità creativa che abbatta la ghettizzazione (a volte auto-inflitta) della cultura e che diventi base per molte altre idee, molti altri progetti e anche molte altre riviste. A questo punto abbiamo voluto osare, il concetto è diventato preponderante rispetto all’oggetto: il brand triangolare, qualsiasi altro brand, non avrebbe senso di esistere in quanto sarebbe un simbolo statico, la concezione ristretta di un gruppo limitato di persone. Gruppo di persone che invece dovrà essere fluido e mutevole nella composizione.

Azzardato? Certamente.

Possono essere formulate infinite critiche all’idea. Di certo faticheremo a fissare un’immagine di Lahar nella nostra mente, sopratutto in quella di chi lo prenderà in mano per la prima volta. Abbiamo, però, provato a definirci diversamente, attraverso i nomi di chi ha scritto, disegnato e fotografato il numero, da adesso posizionati in primissimo piano nella copertina della rivista a ricordare che (passateci il clichè) “Lahar sei tu”. Va ricordato che questo magazine non è un business, nessuno di noi mette in tasca guadagni di alcun tipo; pertanto, e a maggior ragione, possiamo permetterci il lusso della libertà: di osare, di rischiare, di sbagliare o di migliorare e crescere. Appunto perché l’obiettivo non è l’affermazione economica non possiamo farti pagare Lahar, non possiamo dirti che è così e basta, non possiamo immobilizzarlo su categorie che sono proprie alla sola redazione stabile. Non ti diremo cosa pensare, sei tu che credi nel progetto Lahar, e attraverso di esso devi dirlo a tutti.