Cromo temperato

Fabio lavorava alla Tricom di Tezze da due anni, da quando la Cromatura Zampierin aveva preso quel nome ampliando la sua attività produttiva di complementi d’arredo. Stava iniziando a guadagnare e a costruirsi la casa ristrutturando il fienile dei nonni.
Era il 1977 e aveva 27 anni. In quell’anno era entrata in vigore la legge Bucalossi, che permetteva ai sindaci di concedere ai privati i permessi edilizi e fissava i tassi d’imposta che questi dovevano al comune per i piani di urbanizzazione in atto.
Grazie al suo amico d’infanzia Rocco, ora suo superiore alla Tricom e da poco eletto sindaco di Tezze, Fabio aveva velocemente ottenuto i permessi e pagato poche tasse per i lavori pubblici che fervevano attorno alla sua casa in costruzione: pose di tubi del gas, di fili elettrici, pali del telefono, nuovi incroci asfaltati e i primi semafori.
Tanti suoi coetanei costruivano la casa a Tezze e lavoravano nelle imprese appena aperte nel paese, li vedeva tutti i giorni, andando al lavoro con la sigaretta tra le labbra e le gambe sui pedali. Alla Tricom era operaio alla cromatura. Lavorava fissando pezzi metallici su un telaio e immergendoli nell’acido cromico contenuto in vasche di cemento. Rocco era il direttore, gestiva i suoi affari sfruttando la carica di sindaco per agevolare le necessità dell’azienda. I due lavoravano insieme solo quando era necessario svuotare i fanghi delle vasche, una procedura che avrebbe dovuto prevedere i controlli di un incaricato comunale e un protocollo ambientale rigido. Rocco faceva le veci dell’incaricato mentre Fabio eseguiva una versione semplificata del protocollo: svuotare i fanghi nella roggia dietro la fabbrica. Fabio non era ingenuo, gli ingenui sono quelli che per sapere una cosa la domandano, lui sapeva da solo che le sue vasche screziate di rosso e giallo erano
tossiche e non andavano smaltite in quel modo, ma non chiedeva nulla, svuotava la melma esattamente come lavorava, consapevole dei rischi, ma incurante.
Il naso gli doleva internamente ed era sempre stanco, ma la sua vita grazie al lavoro era felice ed era riuscito a terminare la casa, sposarsi e fare il viaggio di nozze a Venezia. Qui aveva visto un quadro che s’intitolava ‘n° 8’ fatto degli stessi colori che il nichel e il cromo formavano a strati sul cemento delle sue vasche. Era di un artista di nome Rothko suicidatosi con un veleno chimico. Un’epifania gli brillò negli occhi, ma la perse pensando che avrebbe raccontato a Rocco di aver visto un artista con un nome uguale al suo fare disegni uguali allo sporco del cromo.

(di Matteo Cavazzon)