Di te, di me e di altri mostri

Era Novembre, ma non faceva freddo. Era una sera come tante altre in cui avevi insistito un po’ di più, ma non era nei miei piani occupare il tempo passeggiando. Vivevo un momento che non saprei descriverti ora, non ho mai saputo nemmeno descriverlo a me stesso. Era solo aver abbandonato il proprio ciclo biologico ed essersi dedicati completamente a qualcosa di effimero, di insensato, qualcosa che sedava, che calmava, che addormentava in mezzo al rumore. Tu nel rumore ci vivevi, sapevi come starci in mezzo. Mangiavi tranquilla, non era per te un mondo in cui le persone facessero silenzio, non era per te una vita intera passata a fare un passo indietro. Tu un passo indietro lo facevi solo per prendere la rincorsa. Io lo sapevo, speravo di poterti seguire. Speravo, a dire il vero, che tu fossi abbastanza convincente da farmi cambiare idea. Farmi mollare tutta quella merda in cui mi ero impantanato, tutto quell’insieme di voci, di persone, di passi mossi in direzioni sconosciute, di pomeriggi passati solo a chiedersi cosa fosse la vita vera, con la vita vera fuori dalla porta. Era un denso brulicare di sensazioni, di grida, di mani che indicano cose, piazze, persone. Nessuno avrebbe mai avuto bisogno di calmarsi, di trovare qualcosa per addormentare tutto quel fermento, solo a me faceva così paura da indietreggiare, da rifugiarmi in quello che sai. In una nebbia fissa, troppo fissa per vederti. Quella sera hai voluto spiegarmi con parole chiare che il rumore alla fine era una cosa normale, una cosa che ci avrebbe accompagnati per tutta la vita. Ma stare insieme poteva essere una via d’uscita, e quella è stata l’ultima volta che te l’ho sentito dire. Io ti ho detto, e me lo ricordo bene, che non ne ero sicuro, che non sapevo, addirittura che dubitavo di poter riuscire a innamorarmi di te. Pensa che stronzo. Sono passati 4 anni e non c’è giorno che non mi veda ancora lì, in piedi, con quella faccia da cazzo che aveva perso qualsiasi possibilità di diventare furba, a maggior ragione per le risposte che ti ho dato. Innamorarmi di te è stata la cosa più facile che mi è venuta da fare dopo che mi hai detto che non si poteva più. Quella è stata l’ultima volta in cui ho visto il tuo viso assumere un’espressione così seria, così consapevole del fatto che non c’erano altre occasioni. Tutto il resto sarebbe stato il tempo, la vita rimasta per trovare un’alternativa. E io non c’ero. Non ero in mezzo al tuo rumore, ero dentro di me a cercare le parole giuste per poter andare via, via da noi due, via da tutto mentre tutto andava via. Ma ora sto bene, ce l’ho fatta. L’ultima volta che ti ho vista non ti ho davvero vista, ti ho solo guardata passare sola davanti a me. Chiedendomi come ci si sarebbe sentiti se fossimo passati insieme.