La Donna che Sorrideva Troppo

Erano le sei del mattino, quando si accorse delle sottili crepe che attraversavano da una parte all’altra il soffitto della propria camera da letto. Da piú di un’ora se ne stava sveglia, avvolta nelle fredde lenzuola, ma solo quando la lancetta piú corta taglió nettamente il 6 dell’orologio sulla parete, il suo sguardó si mosse tra quelle spigolose fessure sullo stucco che le sembrarono voragini.
La chiamavano “la donna che sorride troppo”, anche se lei aveva sempre avuto riserve su quel nomignolo che le era stato appioppato al quinto liceo e se mai avesse dovuto pensare ad un soprannome per se, si sarebbe chiamata la donna che sorrideva e basta.
Le era stata diagnosticata all’etá di cinque anni. Al sentirlo, la madre aveva emesso un urletto non appena le parole “rara malattia genetica” furono pronunciate dallo specialista. La bambina, al tempo, non aveva capito granché degli eloquenti discorsi del medico, solo dopo le rassicurazioni della madre aveva compreso che lei sarebbe stata sempre felice. Da parte sua, la madre, dal momento in cui lasciarono lo studio medico, non fece altro che esser tronfia d’aver messo al mondo una bambina che non avrebbe mai conosciuto le amarezze della vita.
É cosí fú durante il trascorrere degli anni: quando Riccardo la umilió davanti tutto l’istituto, lei sorrise e corse via; sorrise al funerale della madre, tra lo sgomento dei familiari. Trentadue dritti e perfetti bianchi denti in mostra, alla centrale di polizia di Foligno, dopo che dei ladri ripulirono il suo appartamento per intero o con Alice, mentre le parlava del suo licenziamento. Le sue labbra si inarcarono quando scoprí che il marito la tradiva con un’altra da anni sotto lo stesso tetto e quando venne ricoverata di urgenza al reparto di pneumatologia dell’ospedale di S. Orsola, sorrideva agli infermieri di turno.
Le vicine di casa facevano a gara per prendere il tea con lei, mentre il prete della parocchia parlava di lei durante le omelie, additandola come esempio di perfezione cristiana.
Lei avrebbe voluto camminare qualche volta dall’altra parte del marciapiede, a rientro a casa, ma non riusciva proprio. Ci aveva pure provato a cercare quel granello di malinconia nella tristezza di qualcun’altro, si era sforzata, ma vanamente. Era sempre rimasta sola con il suo sorriso.
Tutti giudicano ed hanno da pontificare sulle amarezze altrui, ma lei, lei era la donna perfetta, quella che sorride troppo.
Quella mattina, dopo esser uscita fuori dalle crepe del soffitto, alle sei e cinque minuti, si era alzata e come tutte le mattine era andata a preparasi il suo caffé in cucina. Il silenzio della casa fu interrotto da una grassa risata.