Editoriale

Invidia ed ipocrisia potrebbero essere elette a piaghe di questo ventunesimo secolo. Capita spesso, infatti, che le due vadano a braccetto, che si diano forza a vicenda generando mostri di inarrivabile frustrazione.
Nel nostro Paese è in atto ormai da molti anni una campagna di risentimento verso chi eccelle basata sui sempreverdi capisaldi dell’invidia tricolore: i conoscenti, i soldi, la posizione geografica. Ogniqualvolta un individuo riesce a raggiundere il podio, la vetta più alta di qualsiasi scala competitiva, scatta inesorabile il meccanismo di autodifesa personale. “Eh, ma quello c’ha l’amico giusto…”, “Chissà dove ha trovato i soldi…”, o il mai dimenticato “Chissà con quanti è andata a letto!” nel caso trattasi di eccellenza femminile.
L’invidia è nata con l’umanità e con essa morirà. Lucifero prima di noi fu il Grande Invidioso, e ne pagò caro prezzo venendo scaraventato in fondo al Mondo. Invidiare fa parte del nostro essere deboli, nel nostro vivere al meglio delle nostre possibilità umana. Nulla deve essere incriminato ad un invidioso.
Il peccato sta nel vivere questo sentimento con astio e risentimento nei confronti di chi possa aver meritato il risultato conseguito, invidiare in modo ipocrita senza provare ad eccellere in prima persona o, ancor peggio, di soffermarsi solamente sulla fortuna, se così vogliamo chiamarla, di un qualcuno senza però scendere nel dettaglio dell’individuo invidiato, senza analizzarne il background, come lo definirebbe un sociologo.
Dunque giù ad invidiare e attaccare le orde di migranti che attraccano alle nostre coste in cerca di salvezza, giù ad offenderli, a cavalcare l’onda del populismo su questi benedetti 50€ che nessuno mai, ci scommetterei, ha visto un negro prenderli, a blaterare sugli hotel a cinque stelle in cui essi alloggerebbero, ad accusarli perfino di rubarci il futuro. Mi chiedo se tu che tanto ti riempi la bocca di questo odio razziale mosso da una presunta invidia, faresti il manovale nei campi per qualche euro l’ora, se staresti giorni interi per mare senza una garanzia, se scapperesti dal tuo Paese martoriato dalla guerra e dalle bombe, o se codardamente moriresti sotto le macerie. Ad invidiare ci vuole davvero un attimo, a cercare di farsi invidiare molto di più.
Altro su deliri di onnipotenza, bastiali gelosie e sentimenti di irrazionale confronto nelle prossime pagine di questo ventiseiesimo numero di Lahar Magazine. Buona lettura!