Editoriale

Dopo la folle velocità, presa durante la caduta libera e frutto dell’abissale salto nel Vuoto, alle penne di Lahar non rimane altro se non fare i conti con la fredda, dura, realtà del Cemento sottostante, e con lo schianto che inesorabilmente ci attende, pronto a spezzare in un solo istante la fantasia di ali cresciute a forza di giravolte, evoluzioni e volteggi. Niente più voli pindarici, ma la solida e concreta certezza di una realtà costruita, mattone dopo mattone, colata dopo colata, su solide fondamenta di calcestruzzo armato, che ci offrono protezione e sicurezza, evitando che tutto si risolva malamente in una folata di vento ben assestata o in una scossa di terremoto di poco oltre la nostra soglia di dolore.

Questo numero di Lahar si aggira attraverso le città di cemento, abitate da centinaia di migliaia di vite, che si alternano e susseguono, in un moto perpetuo tutte uguali, uniformate ed ordinate così come sono gli edifici, unica entità atta a sopravvivere in questi agglomerati, destinati all’immortalità e a permeare a discapito di chi la vita la vive per davvero, come nei palazzoni marsigliesi in Unité de habitation n°1.
Gli edifici in cemento tristemente trascendono e annullano l’uomo che li costruisce e gli abita, donandogli un’anima, la quale si infiltra ed eroicamente si insinua tra le imperfezioni e le Crepe, che potete decidere di ingrandire e frantumare, continuando questa storia nella nostra rubrica in collaborazione con 20lines, o tappare con una veloce mano di stucco, per far finta di non vedere dei buchi già fin troppo evidenti.
Paghiamo a caro prezzo tutta questa sicurezza e questa solida realtà: la paga la Natura a suon di colori che stanno svanendo, a favore di un grigio opprimente ormai nostro eterno Compagno di viaggio (inaspettato), e a favore dei colori artificiali, chimici e tossici, come il rosso e giallo di Cromo temperato. Un prezzo pagato da troppe vite, dagli invisibili inghiottiti in un qualunque Vicolo suicidio, alle intere comunità stuprate da speculazioni e mala-edilizia, classico italiano intramontabile, tra le nostre pieghe con il titolo di Abusi territoriali. C’è sempre però qualcuno che si ribella, dipingendo il cemento con del colore autentico, sinonimo di libertà, nei graffiti sul Antifaschistischer schutzwall (il muro di Berlino), arrivando drasticamente all’ineluttabile. Le fondamenta della nostra sicurezza poggiano su di una roteante betoniera che eiacula cemento, ma se è vero che anche dal letame nascono i fior, dal cemento non può nascere proprio niente.
Buona lettura.

(di Eric Parolin)