Editoriale

“Arabi mussulmani” è una coppia di parole vasta, enorme, con cui la nostra mente tenta di contenere milioni di persone, è questa chiusura che negli anni ha formato una serie di stereotipi avvallati dai media, dalla credenza popolare e, senza ombra di dubbio, da una serie di personaggi storici che hanno cavalcato delle situazioni, recitando ruoli, sia solo come antagonisti all’occidente più che di guide per la propria patria, che hanno portato a giustificare la vastità di questa definizione. In effetti ci siamo trovati ad avere delle figure che rispettavano questi stereotipi, quasi giustificandoli, li alimentavano senza però renderci capaci di comprenderne le ragioni del loro operato.

Se osservo le persone che mi circondano sono sicuro di non poter utilizzare “cristiani” per racchiudere la mia società, in barba al retaggio culturale, all’evoluzione che è scaturita da una base solida, ma commistionata dalla stessa cultura che noi chiamiamo islamica prima ancora berbera, greca, persiana, mediorientale. Come se fosse solo frutto dei racconti de Le Mille e Una Notte, come se noi fossimo gli stessi della Divina Commedia. Credo ci sia molto di più, il problema attuale, un problema che ci attanaglia da secoli, è che non vogliamo apprezzare la cultura islamica, ci rifiutiamo di conoscerla finendo per stereotipare anche gli atteggiamenti più naturali e umani.

In questo numero di Lahar Magazine troverete la sensazione della polvere nella bocca, del canto del muezzin, proverete la difficoltà delle persone di vivere all’interno di una struttura sociale, e di essere giudicati solo in base a questa sterile definizione, le stesse difficoltà che abbiamo noi, “cristiani” quando veniamo inclusi in un gruppo così vasto e senza significato. Senza la pretesa di voler indagare, non avendo i mezzi per poterlo fare, l’essenza di questa cultura, abbiamo cercato di far corrispondere all’esotico il normale, alla banalizzazione dei concetti il sentimento, perché quando riusciamo a sentire vicina e viva una situazione, solo in quel momento possiamo affermare di essere veramente affamati del mondo. L’unica parola che può comprendere un così ampio numero di persone.

(di Riccardo Alessandro Didonè)