Esercizi di fedeltà

fedeltà s.f. [lat. fidelĭtas -atis]. – 1. a. [l’essere fedele nei rapporti affettivi, anche con la prep. a: f. coniugale] ≈ devozione, lealtà. ↔ infedeltà, slealtà. b. [l’essere fedele a un ideale, un valore, con la prep. a: f. alla patria] ≈ dedizione, devozione. 2. [rispondenza esatta al vero, all’originale, ecc.: f. d’un ritratto] ≈ esattezza, precisione, veracità, veridicità. ↔ falsità, infedeltà.
“Mollare gli ormeggi” – disse.
“Tu come la vedi? Arresa o conquista?”.
Mi aveva fatto quella domanda sul lettino verdeblù del solito stabilimento (perché da noi non li chiamiamo bagni e neanche lidi) e poi non mi aveva neanche guardata, come accadeva tutte le volte che c’era di mezzo qualcosa di grosso, qualche pensiero scomodo che assillava la sua mente. Sì, assillava, perché altrimenti non avrebbe detto nulla, lui, neanche una parola o un accenno ai suoi reconditi mutamenti interni.
Lo conoscevo da quasi dieci estati, lo vedevo ad anni alterni, lo sentivo ai compleanni e nei giorni prima delle vacanze di Natale, lo pensavo nei mesi dispari e in quelli pari lo sognavo.
Tutti i giorni però lo sapevo, lo sapevo che saremmo tornati qui, all’inizio della fine. Ci siamo lasciati lo stesso giorno che ci siamo messi insieme, ovviamente non dello stesso anno, ma è buffo eh? La fine era già scritta nell’inizio.
L’inizio era già segnato dalla fine e nessuno me l’aveva detto.
Forse mi sarei risparmiata un po’ di cose, oppure, “tutto fa brodo” come dicono le nonne (la mia però no).
Quella era la solita estate dei “racconta dai”, dei viaggi in macchina dopo le due di notte, delle birre con i rimpianti, delle cicale al chiaro di luna e dei baci con i rimorsi, ci ero abituata, mi ci ero allenata, un fedele esercizio di adattamento alla vita altra, quella che vivi quando torni a casa dai tuoi, l’altra casa, l’altra vita, l’altra me.
Non ho mai capito se questa altra è un’intrusa, se aspetta buona buona in un angolo, lavora in un’altra città, fa la spesa, accarezza il gatto, dorme in un’altra città ancora, canta sotto i portici e intanto aspetta di tornare dai suoi.
Nel mio caso, “i suoi” sono i suoi spazi, i suoi bisogni, i suoi posti pubblici come un parco o una scalinata del liceo ma privati, i suoi luoghi comuni.
Comunque anche questa estate ero tornata a casa, per stare un po’ dai miei ma mi sono puntualmente ritrovata tra gli altri, e uno dei soliti altri era lui. Quasi dieci estati che ti conosco e mi fai ancora lo stesso effetto.
Il mio è un esercizio di fedeltà, “l’essere fedele nei rapporti affettivi”, i miei, quelli che ho vissuto intensamente e di cui non voglio dimenticare il come, “la rispondenza esatta al vero, all’originale”, il mio stato originale.
Credo ci voglia molta pratica e costanza, una buona dose di ascolto e la propensione ad accettare quello che si deve accettare, senza aggirare l’ostacolo.
Lo considero un buon allenamento per la felicità, ad ognuno consiglierei il proprio esercizio di fedeltà interiore.
“Una conquista” – ho detto.
“Ah sì? E come mai?” – ha incalzato lui.
Sempre la solita storia, lui si pone una domanda ma poi vuole sapere solo la tua risposta, i tuoi ragionamenti su quel preciso argomento.
“Perché decido io quando e dove farlo” – ne ero sicura.
“Va bene, però potresti averlo fatto anche perché costretta, perché ormai vinta” – non demordeva lui.
“Sarebbe comunque una conquista, una conquista di una nuova sconfitta.”
Ha abbassato lo sguardo e ha riso, sapeva di non poter vincere.
Ed io sapevo che anche questa sera non avrebbe fatto quello che voleva.
Io invece ho capito che mollo gli ormeggi nei posti sicuri, con fiducia, allenandomi a trovare nuovi porti senza dimenticare la luce del faro di casa.
Poi si è alzato, la serata poteva concludersi, lo aveva deciso quindi era così.